SERVIZI DI INSEGNAMENTO PRESTATI PRESSO LA SCUOLA PARITARIA. VALUTABILITA’ AI FINI DELLA MOBILITA’ E RICOSTRUZIONE CARRIERA. COMPATIBILITA’ DELL’ART.485 D.LGS. N. 297/1994 CON L’ART.3 COST..
Corte d’Appello di Roma, sez. lavoro, ordinanza 9.11.2020, Est. Panariello
Il tema del riconoscimento del servizio preruolo maturato nelle scuole paritarie ha assunto negli ultimi anni una particolare rilevanza in quanto, a seconda della soluzione che sia adotta, vengono a determinarsi conseguenze non solo sul piano economico nazionale – atteso che il computo del preruolo concorre alla determinazione della complessiva posizione stipendiale di centinaia di migliaia di pubblici dipendenti – ma anche sul sistema scolastico complessivo, dal momento che il riconoscimento di tale servizio determina anche una diversa regolamentazione delle procedure di mobilità, e dunque influisce sulla individuazione della sede di servizio di ciascun docente.
Le pronunce della Cassazione n.32386 e n.33137 del 2019
L’orientamento giurisprudenziale dei giudici di merito, invero mai davvero consolidatosi, sembrava aver comunque trovato un approdo sicuro all’indomani della sentenza della Corte di Cassazione n. 32386 del 11 dicembre 2019, con la quale veniva espresso il seguente principio di diritto.
“Ai fini dell’inquadramento e del trattamento economico dei docenti non è riconoscibile il servizio preruolo prestato presso le scuole paritarie in ragione della non omogeneità dello “status” giuridico del personale, che giustifica il differente trattamento, nonché della mancanza di una norma di legge che consenta tale riconoscimento, contrariamente a quanto avviene ai fini della costituzione del rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato per il servizio prestato nelle scuole pareggiate oltre che in quelle materne statali e comunali”.
A tale prima pronuncia seguiva poco dopo altra del 16 dicembre 2019 (n. 33137) di analogo tenore.
A distanza di poco meno di un anno dalla pronuncia della Corte di legittimità, la Corte di Appello di Roma, nella persona del proprio Presidente di sezione, dott. Francescopaolo Panariello, si è posta un problema di compatibilità tra la decisione della Cassazione con i principi e con le norme costituzionali.
Per tale ragione, con l’ordinanza in commento, il Collegio romano ha richiesto alla Corte Costituzionale il controllo di compatibilità del c.d. “diritto vivente” costituito appunto dalle sentenze della Suprema Corte, con i parametri costituzionali.
Il caso
Il caso che ha dato occasione alla Corte di sollevare la questione di legittimità costituzionale attiene ad un giudizio promosso in primo grado da un docente che, prima di essere assunto in ruolo, aveva prestato servizio alle dipendenze di un istituto paritario, ed in occasione della procedura di mobilità territoriale avviata dal Ministero dell’Istruzione ha richiesto l’attribuzione di un punteggio aggiuntivo in ragione della precedente esperienza lavorativa.
Il Ministero dell’Istruzione ha respinto la richiesta del docente sulla scorta del fatto che il CCNI per la mobilità del personale docente (che contiene la regolamentazione pattizia della procedura in parola) non ha previsto tale fattispecie di servizio. Il docente ha quindi proposto ricorso innanzi al Tribunale del Lavoro competente ed ha infine impugnato la prima sentenza di rigetto innanzi alla Corte di Appello.
Il quadro normativo
Il Collegio romano fornisce un breve ma incisivo excursus normativo, ponendo in evidenza gli elementi ed i connotati tipici delle varie fattispecie come via via modificate nel 2000 e nel 2005.
Rammenta come prima del 2000, l’offerta formativa delle scuole di istruzione secondaria fosse connotata da un sistema nel quale, accanto alle scuole pubbliche statali, vi erano altre due categorie: quelle “legalmente riconosciute”, istituite da soggetti pubblici o privati, e quelle “pareggiate”, istituite da soggetti pubblici diversi dallo Stato oppure dagli Enti Ecclesiastici.
Con la Legge n. 62/2000 il sistema subisce un primo cambiamento determinato dallo scopo dichiarato di espandere l’offerta formativa e così, accanto alle scuole statali, viene prevista un’unica categoria di scuole non statali, denominate “paritarie”, prevedendo che possano essere istituite e gestite sia da soggetti privati che da enti pubblici locali (Comuni, Province, Regioni).
Il riconoscimento della paritarietà, che equivale ad una “certificazione” di qualità e di efficacia del servizio fornito, prima della riforma del 2005, poteva avvenire solo previa richiesta dell’istituzione scolastica; i soggetti che non richiedevano la paritarietà, dunque,restavano sottoposti alla disciplina originaria relativa alle scuole “legalmente riconosciute” e “paritarie”.
Acquisendo invece lo status di scuole paritarie le istituzioni si assoggettano volontariamente alla permanente vigilanza del Ministero dell’Istruzione, a fronte della quale viene riconosciuta la qualifica di servizio pubblico, e la perfetta equivalenza degli studi, degli esami e dei titoli rilasciabili rispetto ai corrispondenti delle scuole pubbliche statali.
In un primo momento dunque il panorama era eterogeneo, in quanto le vecchie fattispecie di scuole “non paritarie” (a loro volta distinte tra “legalmente riconosciute”, “pareggiate”, o semplicemente “private” e quindi senza alcuna equivalenza con quelle statali), coesistevano con la nuova fattispecie di scuola “paritaria”.
Con l’ulteriore riforma apportata dal D.L. n. 250/2005, il legislatore ha inteso abrogare le originarie fattispecie di scuole “legalmente riconosciute” e “pareggiate” ed ha previsto che le scuole non statali siano soltanto quelle “paritarie” o “non paritarie”, con la conseguenza che, per ottenere la perfetta equivalenza o equipollenza degli studi, degli esami e dei titoli, le scuole non statali – private o pubbliche di enti locali, o di enti ecclesiastici – devono chiedere ed ottenere il riconoscimento di parità ex lege 62/2000.
Le contraddizioni riscontrate nella lettura della Corte di Cassazione
Dopo aver così riepilogato l’evoluzione normativa, la Corte di Appello passa ad affrontare la questione principale inerente al servizio preruolo nella scuola paritaria, rimarcando gli aspetti contraddittori della tesi che nega il riconoscimento di tale esperienza lavorativa nella carriera statale, ove maturata nel periodo successivo all’entrata in vigore della riforma del 2005 (05/02/2006).
La Corte di Appello infatti – in totale dissonanza con le sentenze della S.C. – afferma che tale riconoscimento dovrebbe essere ammesso per i servizi prestati dal 05/02/2006, oltre che presso le scuole pubbliche statali anche presso le scuole di istruzione secondaria “paritarie”, “altrimenti si verificherebbe un’interpretatio abrogans di quella parte dell’art. 485 che si riferisce alle scuole pareggiate, ormai non più giuridicamente esistenti con tale qualificazione”, con l’irragionevole conseguenza che il riconoscimento del servizio di docenza non di ruolo resterebbe limitato a quello prestato presso scuole statali.
“Sarebbe paradossale (e quindi irragionevole e pertanto in contrasto con l’art. 3 Cost.)” – prosegue la Corte di Appello – “ammettere il riconoscimento del servizio di docente non di ruolo prestato presso le scuole “pareggiate” fino ad una certa data (anno scolastico 2005-2006) ed escluderlo, invece, per il periodo successivo solo perché tali scuole –a suo tempo “pareggiate” – non hanno più tale qualificazione giuridica e quindi non sono più titolari di una concessione di “pareggiamento”, divenuta ormai priva di effetto. Si trascurerebbe il fatto – invece assolutamente rilevante – che tali scuole non solo hanno conservato i loro requisiti originari, attinenti ai profili organizzativi, ordinamentali e didattici, ma, a decorrere dal 05/02/2006, devono, altresì, chiedere ed ottenere il riconoscimento di parità, che costituisce senza alcun dubbio un’evoluzione – in chiave di ammodernamento e di affinamento – dell’originario istituto del “pareggiamento” (oltre che del “riconoscimento legale” e della “parificazione”), del quale ha preso il posto, come espressamente riconosciuto dal legislatore (art. 1 bis, d.l. n. 250/2005, conv. in L. n. 27/2006).”
Sussiste infatti una sostanziale omogeneità dei requisiti riguardanti il docente nelle scuole un tempo “pareggiate” ed in quelle attualmente “paritarie”, in particolar modo nel sistema di reclutamento che invece, secondo la S.C., è proprio il principale discrimen che impedisce la valorizzazione del preruolo maturato nelle scuole paritarie.
La Corte romana rammenta infatti che sia l’art. 356 d.lgs. n. 297/1994, al comma 2^, lett. b) e c) che si riferisce alle scuole pareggiate e sia l’art. 1, L. n. 62 cit., al comma 4^, lett. g) ed h) che si riferisce alle scuole paritarie, prevedono che il personale docente possa essere assunto mediante pubblico concorso, abilitazione all’insegnamento conseguita con una votazione minima di 7/10, “chiamata” del docente già assunto in ruolo in altra scuola statale oppure “pareggiata”.
Ciò vuol dire che il Legislatore ha considerato tali modalità di reclutamento quali equivalenti, tanto che, nell’equiparazione tra scuola “pareggiata” e scuola “paritaria”, il livello di preparazione e di professionalità del docente, nel momento in cui viene assunto in ruolo, deve essere ritenuto del tutto omogeneo.
In effetti non potrebbe essere differente, rammenta la Corte, in ossequio al principio espresso all’art. 33, comma 4, Cost. che impone alle scuole che richiedono la “parità” di assicurare agli alunni “un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali”.
Lo scopo prefisso dal Costituente non può che essere perseguito imponendo un sistema di reclutamento del corpo docente che sia omogeneo rispetto a quello della scuola pubblica statale.
È difficile (se non impossibile) scindere l’aspetto qualitativo del trattamento scolastico da quello del docente, atteso che, sottolinea la Corte, “l’aspetto qualitativo, oltre che quantitativo, della docenza rappresenta, infatti, il più importante elemento costitutivo del “trattamento scolastico” cui si riferisce il Costituente.”
Il Collegio romano prende posizione anche su uno degli elementi più richiamati nella giurisprudenza di merito per dimostrare l’equivalenza fra le due tipologie di scuole in commento, ovvero il precetto contenuto all’art. 2, comma 2, del d.l. 255/2001 secondo il quale “… i servizi di insegnamento prestati dal 10 settembre 2000 nelle scuole paritarie di cui alla legge 10 marzo 2000, n. 62, sono valutati nella stessa misura prevista per il servizio prestato nelle scuole statali …”.
Secondo la Corte di Appello di Roma siffatta statuizione è “l’ulteriore espressione di un principio generale dell’ordinamento, ossia quello della equivalenza fra scuole paritarie e scuole pubbliche statali, introdotto dalla legge n. 62/2000 anche per dare nuova attuazione all’art. 33, co. 4^, Cost.”
La Corte respinge la diversa ricostruzione utilizzata da una parte della giurisprudenza di merito per sostenere che tale equivalenza sia un beneficio accordato solo in via eccezionale e limitato alla materia delle graduatorie permanenti, e quindi non applicabile per analogia alla ricostruzione di carriera.
I Giudici romani infatti formulano un chiaro ed inoppugnabile sillogismo: poiché la graduatoria permanente è il bacino da cui attingere per la copertura del 50% dei posti vacanti delle scuole pubbliche statali e poiché il servizio non di ruolo prestato presso le scuole paritarie concorre a determinare il punteggio in graduatoria al pari di quello prestato presso scuole pubbliche statali, allora il servizio nella scuola paritaria è un’esperienza che rileva pure ai fini della possibile assunzione in ruolo presso la scuola pubblica statale.
La Corte rimarca la palese contraddittorietà ed irragionevolezza nell’ammettere da un lato che il servizio nella scuola paritaria possa agevolare l’assunzione nella scuola statale e negare dall’altro lato che il servizio nella scuola paritaria rilevi ai fini della ricostruzione della carriera di un docente già assunto in ruolo, nel momento cioè in cui si deve dare rilevanza giuridica ed economica alla pregressa esperienza.
Se infatti l’aspetto principale a cui tener conto è la verifica della professionalità acquisita dal docente, “il paradosso sarebbe evidente: la docenza non di ruolo presso scuole paritarie sarebbe rilevante per l’art. 2 d.l. n. 255/2001 e, quindi, potenzialmente per l’assunzione in ruolo, ed invece non rilevante per l’art. 485 d.lgs. n. 297/1994 ai limitati fini (certamente di minor rilievo) della ricostruzione di carriera.”.
“Ed allora” – conclude la Corte – “assumendo come tertium comparationis la fase anteriore alla costituzione del rapporto di impiego e precisamente quella dell’integrazione delle graduatorie permanenti, si paleserebbe una violazione dell’art. 3 Cost.”
A questo punto la Corte di Appello affronta direttamente il contenuto della sentenza della Corte di Cassazione in quanto, costituendo “diritto vivente”, secondo la Corte di Appello potrebbe porsi in contrasto con l’anzidetto canone costituzionale (C. Cost. n. 242/2014, che richiama i suoi precedenti nn. 91/2004, 117/2012, 258/2012 e 191/2013).
La Corte di Appello dichiara apertamente di non poter condividere la decisione della Cassazione secondo cui non è “applicabile l’art. 485 del d.lgs. n. 297 del 1994 in quanto attiene alla diversa fattispecie delle scuole pareggiate”, poiché “il fatto che l’art. 485 d.lgs. cit. si riferisca testualmente (ancora oggi, per un difetto di coordinamento da parte del legislatore) alle scuole “pareggiate” non è di alcun ostacolo alla sua applicazione diretta alle scuole paritarie.”
Non è necessaria alcuna operazione di interpretazione estensiva per via analogica dell’art. 485 cit. che, invece, secondo la Cassazione sarebbe impedita dalla non omogeneità delle fattispecie in gioco. “Infatti, a seguito degli interventi legislativi del 2000 e del 2005-2006, l’art. 485 cit. va letto nel senso per cui il riferimento, ivi contenuto, alle scuole “pareggiate” va inteso ora come riferito alle scuole paritarie … E quindi di tale norma se ne propugna un’applicazione diretta e non invece analogica e neppure estensiva, non necessarie.”
Il Collegio capitolino pone l’attenzione sull’argomento “principe” utilizzato dai Giudici di legittimità per rifiutare questa conclusione, ovvero la “persistente non omogeneità dello status giuridico del personale docente”, che si desumerebbe da due rilevanti elementi:
- la diversa natura giuridica del datore di lavoro
- il diverso sistema di reclutamento, che solo per la scuola pubblica statale sarebbe quello del pubblico concorso ex art. 97 Cost..
Sul punto la Corte di Appello ricorda che “già nel sistema dell’originaria formulazione dell’art. 485 d.lgs. n. 297 cit. il servizio non di ruolo rilevante era anche quello prestato presso le scuole “pareggiate”. E tali erano non solo quelle degli enti pubblici (diversi dallo Stato), ma pure quelle degli enti ecclesiastici, che non hanno natura di ente pubblico e presso i quali, in ogni caso, l’assunzione non è retta dal necessario criterio del pubblico concorso ex art. 97 Cost., poiché non si verte in materia di pubblico impiego.
Inoltre, come previsto dall’art. 399 d.lgs. n. 297/1994 (come modificato dalla legge n. 124/1999), anche per la scuola pubblica statale la regola del pubblico concorso non è esclusiva, coesistendo, invece e paritariamente (al 50%), con altra forma di reclutamento, rappresentata dalle graduatorie permanenti.”
Invero si ritiene utile annotare come gli esempi di non esclusività di siffatti elementi sono molteplici e non si limitano solo a quelli efficacemente evidenziati nella pronuncia in commento.
L’Ordinamento non ha conosciuto solo casi in cui il servizio di insegnamento alle dipendenze di un datore di lavoro privato è riconosciuto nei ruoli statali, ovvero le citate scuole parificate, ma anche il contrario, ovvero casi in cui tale servizio non è stato riconosciuto, sebbene sia maturato alle dipendenze della pubblica amministrazione.
Si rammenta sul punto che la Cassazione, con sentenza n. 1749/2015, ha escluso la computabilità del servizio pre-ruolo prestato nelle scuole militari, affermando la non decisività del carattere statale della scuola ai fini del riconoscimento del servizio preruolo.
Il principio del concorso pubblico
Quanto al principio del reclutamento con concorso pubblico, che costituirebbe una modalità esclusiva dell’impiego pubblico, la Corte di Appello evidenzia non solo che “la regola del pubblico concorso non è esclusiva, coesistendo, invece e paritariamente (al 50%), con altra forma di reclutamento, rappresentata dalle graduatorie permanenti” ma anche che “la materia del contendere attiene ai servizi di docenza non di ruolo ed allora quelli da mettere a confronto – nell’interpretazione dell’art. 485 d.lgs. n. 297 cit. – sono prestati presso scuole pubbliche statali e presso scuole paritarie.
Ora, come è noto, i rapporti di lavoro non di ruolo (cc.dd. precari) presso la scuola pubblica statale (e presso le pubbliche amministrazioni in generale) sono sottratte alla regola costituzionale del pubblico concorso ex art. 97 Cost. (v. art. 36, co. 2^, d.lgs. n. 165/2001), che resta limitata all’assunzione in ruolo, ossia alla costituzione del rapporto di impiego a tempo indeterminato, nella scuola peraltro solo nel limite del 50% dei posti vacanti in organico (art. 399 d.lgs. n. 297 cit.).
Ed in effetti quanto osservato dalla Corte appare vieppiù vero se si rammenta l’esempio eclatante del meccanismo della c.d. “messa a disposizione”, ovvero un’istanza informale presentata da semplici aspiranti docenti mediante la quale il docente viene assunto a tempo determinato senza la benché minima selezione, ottenendo pacificamente il pieno riconoscimento della esperienza lavorativa.
“Quindi”– prosegue la Corte –“l’asserita diversità di status fra le due categorie di docenti non di ruolo non sussiste:
– la natura pubblica o privata del datore di lavoro è del tutto irrilevante e, in verità, lo era già per l’originaria formulazione dell’art. 485 d.lgs. n. 297 cit., posto che gli enti ecclesiastici (che pure potevano istituire, organizzare e gestire scuole “pareggiate”) non sono enti pubblici;
– il sistema di assunzione è del tutto irrilevante, posto che i rapporti di lavoro “precari”, anche nella pubblica amministrazione, sono costituiti mediante sistemi diversi dal pubblico concorso ed inoltre non erano (né sono) di certo sottoposte a questo sistema le assunzioni alle dipendenze di enti ecclesiastici.”
La Corte d’Appello si discosta dai principi della Cassazione
È evidente insomma che le conclusioni a cui è giunta la Corte di Appello si pongono in aperto contrasto con il decisum della Corte di Cassazione che, secondo la Corte laziale, fornisce un’interpretazione dell’art. 485 in contrasto con l’art. 3 Cost. “a causa della ingiustificata ed irragionevole disparità di trattamento che verrebbe realizzata rispetto:
– sia al servizio non di ruolo prestato presso scuole pubbliche statali,
– sia al servizio non di ruolo prestato presso scuole “pareggiate” nel periodo fino all’anno
scolastico 2005/2006,
– sia al medesimo servizio non di ruolo prestato presso scuole paritarie, rilevante ai fini
dell’integrazione delle graduatorie permanenti e, quindi, della potenziale assunzione in
ruolo a tempo indeterminato.”
In definitiva, la Corte di Appello “auspica” un’interpretazione dell’art. 485 che consenta il pieno riconoscimento del servizio prestato nella scuola paritaria ritenendola una norma imperativa “posta a presidio di un diritto del docente (assunto in ruolo), che costituisce anche l’inevitabile riflesso dell’interesse pubblico a favorire, realizzare e mantenere un sistema scolastico complessivo ispirato al necessario pluralismo dei centri equipollenti di istruzione e di formazione.”.
Per tali ragioni, la Corte di Appello ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 485 d.lgs. n. 297/1994 per contrasto con l’art. 3 Cost. Avv. Gianluigi Giannuzzi Cardone – Foro di Bari