Avv. Isetta Barsanti Mauceri – Foro di Firenze
Il TAR del Lazio con la sentenza n. 2102/2021 ha dichiarato l’illegittimità dell’art.1, comma 9, lett. s) del DPCM 3.11.2020 nella parte in cui ha previsto l’obbligatorietà dell’uso delle mascherine, nell’ambito scolastico, per i bambini da 6 ad 11 anni.
La sentenza, oltre ad approfondire i temi legati alla pandemia ed alle varie disposizioni precauzionali adottate dal DPCM in parola, affronta due temi procedurali interessanti quali:
– la procedibilità di un ricorso che abbia ad oggetto un provvedimento amministrativo e che viene deciso quando lo stesso ormai non produce più effetti, salvo poi essere stato replicato da altri analoghi;
– l’applicazione dell’art. 34 comma 3 del cpa
Il Fatto
Un’associazione con finalità solidali ed alcuni genitori di allievi tra i 6 e gli 11 anni, residenti nella regione Lazio, hanno impugnato il DPCM del 3.11.2020, unitamente agli atti conseguenti e presupposti, nella parte in cui dispone l’obbligo di indossare dispositivi di protezione delle vie respiratorie nei luoghi al chiuso per i bambini di età superiore ai 6 anni e nella parte in cui all’art. 1, comma 9 lett. s), prevede che l’attività didattica ed educativa per la scuola dell’infanzia, il primo ciclo di istruzione e per i servizi educativi per l’infanzia, continui a svolgersi in presenza con uso obbligatorio di dispositivi di protezione delle vie respiratorie, salvo che per i bambini con età inferiore a 6 anni e per soggetti con patologie o disabilità incompatibili con l’uso della mascherina.
I ricorrenti, in particolare, sostengono che proprio in base alle indicazioni fornite dall’OMS e dal CTS, il DPCM avrebbe dovuto calibrare il suddetto obbligo previa valutazione della situazione epidemiologica locale, nonché per i bambini di età fra i 6 e gli 11 anni, prestando attenzione al contesto socio culturale ed a fattori quali la compliance del bambino nell’utilizzo della mascherina ed il suo impatto sulle capacità di apprendimento, prevedendo quindi esoneri dall’uso della stessa non solo nei casi espressamente previsti, ma anche qualora la medesima provocasse un “fastidio” od un “disturbo” di qualsivoglia natura e comunque quando fosse garantita la distanza di un metro tra i banchi.
Con decreto n. 7099 del 17.11.2020, il TAR ha respinto l’istanza di misure cautelari presidenziali richieste dai ricorrenti ed ha fissato l’udienza di discussione della domanda cautelare per il 16.12.2020.
L’Amministrazione, costituitasi in giudizio, ha eccepito, preliminarmente, l’improcedibilità del ricorso avendo il DPCM perso efficacia il 3.12.2020 e non avendo i ricorrenti impugnato il successivo DPCM, nel merito ha sostenuto la piena legittimità del DPCM impugnato.
I ricorrenti hanno replicato sulla questione procedurale, sostenendo che non avevano intenzione di impugnare il successivo DPCM in quanto lo stesso una volta che fosse stata affrontata la questione nel merito, sarebbe ugualmente scaduto e quindi la tempistica non avrebbe consentito ai ricorrenti di poter ottenere giustizia. I ricorrenti, al contempo, hanno rilevato di aver impugnato, in ogni caso, il DPCM del 3.11.2020 ed i successi atti conseguenti, tra i quali, quindi avrebbero dovuto essere compresi anche i successivi DPCM.
Il Decreto Cautelare del TAR è stato oggetto di riesame anche in sede di Consiglio di Stato che con Decreto n. 6795 del 26.11.2020 pur confermandolo ha fornito utili indicazioni per la futura decisione nel merito.
All’esito della Camera di Consiglio il TAR con ordinanza n. 7718 del 17.12.2020 ha respinto l’eccezione di improcedibilità del ricorso in considerazione del fatto che non fossero scaduti ancora i termini per impugnare il DPCM del 3.12.2020 e che unitamente alla domanda di annullamento i ricorrenti avevano introdotto anche la domanda risarcitoria il cui esame avrebbe comportato, necessariamente, una decisione sulla legittimità o meno del DPCM impugnato. Contestualmente nel rinviare all’udienza di merito dl 10.02.2021 ha ordinato all’Amministrazione resistente di depositare una sintetica relazione nella quale si desse contezza dell’iter logico giuridico seguito dal Ministero della Sanità per addivenire all’introduzione nel DPCM della obbligatorietà dell’uso della mascherina in ambito scolastico anche laddove fosse stato rispettato il distanziamento tra i banchi.
Nelle more tra la Camera di Consiglio e l’udienza di merito, le parti hanno rispettivamente prodotto memorie e l’Amministrazione resistente ha adempiuto alle richieste istruttorie.
La decisione
All’esito dell’udienza di merito i giudici amministrativi hanno dapprima affrontato le questioni procedurali già segnalate e poi sono entrati nel merito del ricorso accogliendolo.
Sulla improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse.
I giudici del TAR hanno dichiarato l’improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse della domanda di annullamento in quanto il DPCM del 3.11.2020 impugnato aveva perso efficacia il 3.12.2020 ed il nuovo DPCM del 3.12.2020, non impugnato dai ricorrenti, era stato sostituito con il successivo del 14.01.2021, anche quest’ultimo non impugnato.
I giudici amministrativi hanno, però, evidenziato, de jure condendo come il fatto che ad ogni successivo provvedimento ne seguisse un altro di identico tenore “mal si conciliasse con la tempistica della giustizia amministrativa e che ciò avrebbe meritato una riflessione sui rimedi giurisdizionali che l’ordinamento dovrebbe apprestare.” e de jure condito “che la mancanza di impugnazione espressa dei successivi DPCM con il rimedio dei motivi aggiunti, ne preclude l’esame da parte del Giudice”.
Applicazione dell’art. 34 comma 3 CPA
A tale improcedibilità, però, i giudici amministrativi, non hanno fatto seguire, come di solito accade, la fine del giudizio e quindi la conclusione della pronuncia, ma in applicazione dell’art. 34 comma 3 del CPA, poiché nel ricorso era contenuta la domanda risarcitoria che imponeva lo scrutinio di legittimità degli atti impugnati, aderendo a quel filone giurisprudenziale per cui l’improcedibilità della domanda di annullamento ne comporta la conversione in domanda di accertamento dell’illegittimità dell’atto, hanno deciso di esaminare la domanda nel merito. Si legge nella sentenza infatti “Nel caso di specie la domanda risarcitoria è stata formulata già nel presente giudizio, sicché l’improcedibilità della domanda caducatoria ne comporta la conversione in domanda di accertamento dell’illegittimità dell’atto”
Nel merito
I giudici quindi si sono soffermati sulla legittimità o meno dell’imposizione dell’obbligo per i bambini di età compresa tra i 6 e gli 11 anni di indossare la mascherina per il tempo delle lezioni “in presenza” di cui alla norma censurata e l’hanno ritenuta illegittima dopo un’ampia disamina di tutte le posizioni offerte in giudizio.
In primo luogo il TAR ha rilevato come il CTS stesso non avesse imposto l’uso della mascherina, prevedendo, come essenziale, il mantenimento del distanziamento fisico, mentre il DPCM impugnato discostandosi, quindi, dal CTS avrebbe fatto permanere l’obbligo della mascherina anche durante l’orario scolastico, senza motivare il proprio diverso orientamento, nè richiamando evidenze istruttorie. Per tale motivo il TAR ha ritenuto fondata la censura relativa all’imposizione, indiscriminata, della mascherina anche negli istituti scolastici che hanno adottato misure per garantire il distanziamento tra i banchi.
Oltre a ciò, si legge nella sentenza, come il TAR avesse richiesto al Ministero della Salute di fornire risposta alle istanze istruttorie che erano state avanzate in sede di sospensiva, proprio per comprendere meglio la questione, ma la relazione sintetica prodotta dall’Amministrazione si riferisce a studi scientifici che non sono quelli citati nel DPCM e che avrebbero motivato l’uso della mascherina. Detta motivazione, peraltro, comunque postuma è inammissibile.
Ed ancora i giudici amministrativi hanno rilevato come gli atti impugnati fossero da censurare anche sotto il profilo del non corretto esercizio della discrezionalità amministrativa sotto forma dell’eccesso di potere. Circa poi l’eccezione sollevata dai ricorrenti sulla mancanza osservanza del cd. principio di precauzione, i giudici hanno operato una sottile distinzione tra precauzione e prevenzione, sostenendo come nel caso di specie pur essendo innegabile che le misure adottate per fronteggiare l’emergenza sanitaria in corso fossero ispirate al principio di precauzione, tuttavia proprio a causa della carenza di motivazione, si debba dubitare che sia stato compiuto appieno quel giudizio di “stretta necessità” attraverso il quale si declina il principio di precauzione stesso.
Sulla domanda risarcitoria
Nonostante che il TAR abbia proceduto a decidere nel merito il ricorso la cui domanda principale era stata dichiarata, comunque improcedibile, e ciò per effetto dell’art. 34 comma 3 cpa che testualmente recita: “Quando, nel corso del giudizio, l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse ai fini risarcitori.” la domanda risarcitoria che aveva giustificato la lunga disamina dei giudici di merito è stata però respinta per genericità della stessa.
Considerazioni finali
Si deve ritenere che i giudici avessero una gran voglia di occuparsi della materia e che quindi abbiano trovato un escamotage procedurale per non doversi limitare ad una mera e mesta dichiarazione di improcedibilità.
Tuttavia, adesso quel che rileva è se la pronuncia di annullamento possa avere qualche effetto. Come noto il principio dell’efficacia inter partes del giudicato amministrativo non trova applicazione nei confronti delle pronunce di annullamento di particolari categorie di atti amministrativi, ossia in concreto, di quelli che hanno una pluralità di destinatari, un contenuto inscindibile e sono invalidi per un vizio che ne inficia il contenuto in modo indivisibile per i destinatari (Cons. Stato Sez. IV, 13-03-2014, n. 1222; Cons. Stato Sez. IV, 18-11-2013, n. 5459; Cons. Stato Sez. III, 20-04-2012, n. 2350. Nel caso di specie, quindi, per effetto della sentenza in commento sarebbe stato annullato l’obbligo per gli allievi da 6 ad 11 anni di indossare le mascherine a scuola, in presenza. Il provvedimento annullato, però, al momento della pubblicazione della decisione non esisteva più, ma era stato sostituito con l’analogo contenuto nel DPCM del 14.01.2021 che al medesimo art. 1 comma 9 lett. s ripropone la disposizione oggetto del presente ricorso.
La decisione in commento è stata adottata dal TAR nelle more dell’adozione del nuovo DPCM del 2.03.2021, il primo del Presidente del Consiglio Draghi che entra in vigore il 6.03.2021.
Alla luce della decisione del TAR sarebbe stato opportuno che il Governo non avesse ricalcato, su punto, i provvedimenti passati, ma avesse recepito le indicazioni dell’OMS e del CTS.
Invero, all’art. 21 comma 1 del DPCM in parola si legge, testualmente “E’ obbligatorio l’uso di dispositivi di protezione delle vie respiratorie salvo che per i bambini di età inferiore ai sei anni e per i soggetti con patologie o disabilità incompatibili con l’uso dei predetti dispositivi.”
Dovremo quindi attendere, forse, il secondo DPCM dell’era Draghi per vedere se sul punto verrà fatta chiarezza e se le indicazioni del CTS saranno pubblicate tempestivamente, potremo conoscere le indicazioni degli esperti.
immagine di copertina tratta da lombardianotizie.online.it