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Il riconoscimento del titolo conseguito all’estero: caratteristiche e funzioni dei procedimenti amministrativi. A. C. Vimborsati

Relazione al convegno Sidels del 13 luglio 2021

La questioni relative al riconoscimento dei titoli conseguiti all’estero costituiscono un’occasione di confronto su una complicata e quanto mai attuale tematica giurisprudenziale che impone di illustrare non solo o quanto meno non esclusivamente le fattispecie decise dalla giurisprudenza in relazione alle azioni proposte in rapporto alla tipologia di titolo conseguito e della correlata procedura di riconoscimento azionata, ma di “tracciare” i lineamenti giuridici e procedimentali dei vari procedimenti amministrativi che è possibile e necessario azionare nei confronti delle competenti amministrazioni al fine di veder riconosciuto il proprio titolo conseguito all’estero come valido nell’ordinamento giuridico italiano.

Quest’impostazione, risulta, allo stato attuale, quasi obbligata per operare una sistematica ricostruzione di una fattispecie che si è imposta all’attenzione degli operatori del diritto scolastico a colpi di pronunce così che proprio le singole sentenze hanno costituito ciascuna il tassello di un’ampia e articolata casistica di fattispecie che meritano di essere ricondotte ad unità attraverso un percorso tracciato dalla giurisprudenza attraverso gli arresti succedutisi nel tempo e via via consolidatisi in rapporto da un lato al vertiginoso aumento dei titoli frattanto effettivamente conseguiti all’estero, anche e soprattutto in seguito all’istituzione delle Graduatorie per le Supplenze, note come GPS e, dall’altro, dall’aumento del contenzioso in materia,  disparato.

La giurisprudenza amministrativa, infatti, è stata chiamata nel tempo a pronunciarsi sulla legittimità, nell’ordine, dei seguenti aspetti:

  1. dei tempi e dei termini di durata dei procedimenti amministrativi nei giudizi sul silenzio serbato dall’amministrazione rispetto alla istanza di riconoscimento in Italia delle qualifiche professionali conseguite all’estero (dunque nei giudizi sul silenzio della p.a.);
  2. sulla legittimità dell’operato della p.a. nei giudizi proposti per l’impugnativa dei decreti di rigetto delle istanze di riconoscimento del titolo conseguito all’etero avendo riguardo alla legittimità dei provvedimenti di diniego sotto il profilo dell’istruttoria, dell’obbligo motivazionale e della conformità al diritto comunitario e ai principi del diritto comunitario in materia già affermati dalla Cote di Giustizia dell’UE;
  3. sul carattere vincolante ed esaustivo della C.D. Dichiarazioni di conformità al diritto comunitario  per l’accoglimento dell’istanza di riconoscimento sempre ai fini della legittimità dell’istruttoria del procedimento amministrativo in mancanza di adeguata valutazione del percorso disciplinare e didattico seguito dall’istante;
  4. sulla legittimità dei dinieghi opposti al riconoscimento dei titoli accademici in relazione alla specifica finalità del titolo speso in Italia alla luce del raccordo tra la normativa italiana, quella comunitaria e quella internazionale;
  5. sulla individuazione degli organi competenti a riconoscere il titolo conseguito all’estero sulla base della sua natura e della sua funzione;
  6. sulla modalità di esercizio del potere dell’amministrazione nell’ambito dei giudizi di ottemperanza, in particolare dinanzi al Consiglio di Stato, per l’esecuzione al giudicato di sentenze che avevano già dichiarato l’illegittimità dei dinieghi alle istanze di riconoscimento del titolo, nelle quali, sindacando le modalità della riedizione del potere amministrativo da parte della P.a. e del Ministero dell’istruzione, in particolare,  il Supremo consesso amministrativo ha “codificato” la disciplina del procedimento amministrativo della procedura di riconoscimento vincolando l’esercizio della discrezionalità amministrativa, nella fase istruttoria dei procedimenti di valutazione dei titoli, ad alcuni specifici principi già dichiarati in sede di giudizi sulla legittimità dei dinieghi, delineando in maniera quasi obbligatoria il contenuto della disciplina procedimentale e per l’effetto del provvedimento finale di riconoscimento del titolo imponendo l’affermazione non solo di uno specifico e concreto obbligo motivazionale in ottemperanza ai principi generali di cui all’art. 3 della legge 241/1990 ma delineando anche la specifica modalità di garanzia dell’obbligo motivazionale qualificando i procedimenti amministrativi per il riconoscimento dei titoli conseguiti all’estero come una valutazione comparativa delle specifiche qualifiche didattiche e competenze professionali possedute dall’istante con un approccio sostanzialista garantista della effettiva spendibilità del titolo nell’ordinamento giuridico italiano.

Ebbene, ciascuno di questi arresti ha costituito le tappe del percorso che ci si propone di delineare e ricostruire ripercorrendolo dalla fine al principio con la finalità di:

  1. catalogare le tipologie di titoli conseguiti all’estero e per l’effetto delle relative procedure di riconoscimento;
  2. inquadrare i corrispondenti procedimenti amministrativi, gli organi competenti, i termini e le azioni giurisdizionali proponibili in caso di diniego dell’istnza di riconoscimento.

Primariamente, dunque, occorre inquadrare la tipologia dei titoli che possono essere conseguiti all’estero nella prospettiva del loro riconoscimento in Italia.

La circolazione della persone nello spazio sovranazionale, regionalizzato e comunitrario in particolare ha favorito da tempo la dichiarazione e la consacrazione di alcuni principi sulla necessaria riconoscibilità dei titoli conseguiti in ciascuno stato nella comunità internazionale ed in particolare in quella comunitaria come condizione della migliore spendibilità dei titoli e della circolazione delle persone e delle relative competenze professionali.

TIPOLOGIE DI TITOLI E PROCEDURE

Nell’ordinamento giuridico italiano, in conformità alle disposizioni internazionali e comunitarie in materia, che hanno trovato compiuta esecuzione ed armonizzazione, le procedure di riconoscimento dei titoli conseguiti all’estero si distinguono a seconda che riguardino:

1. le qualifiche professionali;

2. i titoli accademici.

Nel’ambito dei titoli accademici si differenziano a seconda che siano finalizzate ad un riconoscimento accademico (finalizzato al proseguimento degli studi) o non accademico (ove, invece il titolo conseguito all’estero abbia una diretta ed immediata incidenza sulla possibilità di accedere ad un impiego ovvero di condizionare la posizione di un dipendente nell’ambito di un rapporto di impiego già esistente.

In relazione ad un medesimo titolo deve distinguersi, infatti, l’ipotesi in cui il riconoscimento sia finalizzato alla partecipazione ad una specifica procedura concorsale, dalle ipotesi in cui sia invece finalizzato a conseguire l’attribuzione di punteggio per la definizione della graduatoria definitiva in caso di pubblici concorsi e progressione interna dei pubblici dipendenti, ad accedere al praticantato o al tirocinio post laurea, all’iscrizione presso i centri per l’impiego ovvero ancora a rivendicare la reversibilità della pensione al superstite che studia all’estero o a riscattare gli anni di laurea o partecipare a selezioni per l’assegnazione di borse di studio e altri benefici (erogati o riconosciuti dalle pubbliche amministrazioni) o, infine, a conseguire la specifica  qualifica di cooperante o volontario (legge 49 del 1987).

Quest’ultima tipologia di riconoscimento è infatti denominata “finalizzata” e comporta una comparazione tra il tipo di titolo e il livello di studio conseguito all’estero (ad es. titolo accademico, preaccademico, non accademico,  di primo, secondo o terzo  livello) e il medesimo tipo e livello di un titolo italiano richiesto a un determinato scopo.

1. Il riconoscimento delle qualifiche professionali.

La nozione di qualifica professionale e del correlato dovere generalizzato di riconoscimento derivano dagli obblighi previsti e imposti dalla direttiva comunitaria 2005/36/CE sul riconoscimento delle qualifiche professionali.

Il Trattato dell’Unione Europea assicura la libera circolazione dei lavoratori e, in particolare, disciplina il diritto di stabilimento che investe qualsiasi attività di lavoro svolta in regime di non subordinazione e in modo stabile.

Il diritto di stabilimento ricorre nei casi in cui un professionista qualificato intende esercitare la propria professione in uno Stato membro diverso da quello in cui ha ottenuto la qualifica professionale. Tuttavia, poiché ogni Stato membro può subordinare l’accesso a una determinata professione al possesso di una qualifica professionale specifica, che può variare negli Stati a seconda dei rispettivi ordinamenti, la qualifica ottenuta nel proprio Stato di origine potrebbe non essere sufficiente sul territorio di un altro Stato membro.

Trattandosi di una direttiva, che come noto impone agli Stati membri l’obbligo di realizzare uno specifico nella piena discrezionalità dei mezzi utilizzati, la realizzazione degli obiettivi previsti da parte dei vari Stati membri ha implicato una intensa attività di armonizzazione del diritto per la notevole diversità dei sistemi dei rispettivi stati membri in materia di formazione e conseguimento delle qualifiche professionali.

Un’attività di armonizzazione che è passata attraverso una capillare attività interpretativa della Corte di Giustizia dell’Ue che ha vagliato le disposizioni dei vari Stati in materia in ragione dell’uniforme applicazione del diritto comunitario e ha formulato una molteplicità di principi direttamente desumili dal Trattato che hanno vincolato l’applicazione delle normative nazionali.

La diversità dei titoli e delle qualifiche potrebbe costituire un impedimento alla libera circolazione dei professionisti nell’Unione Europea. Ecco perché l’UE ha da tempo introdotto norme che regolano il reciproco riconoscimento delle qualifiche professionali tra gli Stati membri.

La direttiva 2005/36/CE, si applica ai cittadini degli Stati membri dell’Unione Europea che vogliano esercitare sul territorio nazionale, quali lavoratori subordinati o autonomi, compresi i liberi professionisti, una professione regolamentata in base a qualifiche professionali conseguite in uno Stato membro dell’Unione Europea e che, nello Stato d’origine, li abilita all’esercizio di detta professione. La professione che l’interessato eserciterà sul territorio italiano sarà quella per la quale è stato qualificato nel proprio Stato membro d’origine, se le attività sono comparabili.

Nei paesi in cui la professione non è regolamentata, il titolare della qualifica professionale acquisita in un altro Paese non deve chiederne il riconoscimento e può esercitare la professione liberamente alle medesime condizioni valevoli per i cittadini dello Stato membro in questione. Dovrà, però, dimostrare che ha esercitato la professione nello Stato membro di provenienza

La direttiva del 2005 ha consolidato un sistema di riconoscimento reciproco che inizialmente era basato su 15 direttive. L’Italia è stato il primo Paese comunitario a trasporre la direttiva nell’ordinamento interno.

Il provvedimento di recepimento della direttiva, il decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206ha sostituito, abrogando in tutto o in parte, la normativa nazionale che regolava la materia dei riconoscimenti professionali.

La definizione di professioni “regolamentate” è fornita – insieme alla altre previste del provvedimento – dall’art. 4 del citato decreto: 1) l’attività, o l’insieme delle attività, il cui esercizio è consentito solo a seguito di iscrizione in Ordini o Collegi o in albi, registri ed elenchi tenuti da amministrazioni o enti pubblici, se la iscrizione è subordinata al possesso di qualifiche professionali o all’accertamento delle specifiche professionalità; 2) i rapporti di lavoro subordinato, se l’accesso ai medesimi è subordinato, da disposizioni legislative o regolamentari, al possesso di qualifiche professionali; 3) l’attività esercitata con l’impiego di un titolo professionale il cui uso è riservato a chi possiede una qualifica professionale; 4) le attività attinenti al settore sanitario nei casi in cui il possesso di una qualifica professionale è condizione determinante ai fini della retribuzione delle relative prestazioni o della ammissione al rimborso; 5) le professioni esercitate dai membri di un’associazione o di un organismo di cui all’Allegato I.

Sulla base della direttiva e del decreto di recepimento del 2007, il cittadino UE può esercitare la professione in altro Stato membro:sia in regime di stabilimento;che come libera prestazione di servizi.

La nozione di libera prestazione di servizi non ha una specifica definizione normativa. La giurisprudenza della Corte di Giustizia europea la connota come nozione residuale rispetto a quella di stabilimento e che ha come caratteristica fondamentale la temporaneità e l’occasionalità della prestazione stessa. 

La libera prestazione di servizi (novità della direttiva 2005/36/CE rispetto alla precedente disciplina), permette al cittadino l’esercizio temporaneo e occasionale della propria professione in qualsiasi Stato dell’UE, senza necessità di dover ottenere il riconoscimento della propria qualifica professionale (artt. 9-15, D.Lgs. 206); una verifica preliminare della qualifica è prevista solo in relazione a prestazioni nel settore della sicurezza e della sanità pubblica (art. 11). In capo al cittadino sono previsti specifici adempimenti informativi in occasione del primo spostamento sul territorio dello Stato ospitante (dichiarazione preventiva)relativi al tipo di prestazione da svolgere e alla copertura assicurativa per la responsabilità professionale; il carattere temporaneo e occasionale della prestazione è valutato, dall’autorità amministrativa, caso per caso, tenuto conto anche della natura della prestazione, della durata della prestazione stessa, della sua frequenza, della sua periodicità e della sua continuità. Nel solo caso in cui si tratti di professione non regolamentata nel Paese di provenienza, lo Stato membro ospitante può richiedere al libero prestatore di certificare un periodo di 2 anni di esperienza professionale, maturata nel corso dei dieci anni precedenti alla prestazione di servizi per la quale si presenta la dichiarazione, e di avere uno o più attestati di competenza o uno o più titoli di formazione.

Ai fini dell’esercizio di una professione in regime di stabilimento -il decreto legislativo 206/2007 ripropone la disciplina già consolidata dal precedente diritto comunitario.

Il professionista legalmente stabilito è il cittadino UE che, avendo soddisfatto tutti i requisiti per esercitare una professione nello Stato membro di residenza (diverso da quello in cui ha ottenuto la qualifica) ha ottenuto il riconoscimento della qualifica professionale da parte delle autorità di detto Stato (tale definizione non è tuttavia contenuta nel decreto di recepimento, v. ora art. 4 dello schema in esame).

In base al D.Lgs. 206 i regimi che regolano i “riconoscimenti professionali” sono di tre tipi:

1 – un regime generale di riconoscimento (artt. 18-26) non automatico ma basato sul confronto tra i percorsi formativo – professionali previsti nei due Stati e la possibilità, in caso di “differenza sostanziale” tra i diversi livelli di qualifica (previsti dall’art. 19 del decreto), di condizionare il riconoscimento a misure compensative (prova attitudinale o tirocinio di adattamento di durata non superiore a tre anni). Condizioni del riconoscimento sono: che il titolo (o l’attestato) sia stato rilasciato da una autorità competente; che detto titolo certifichi il possesso di un livello di qualifica almeno equivalente al livello immediatamente precedente a quello previsto dalla normativa nazionale; l’accesso alla professione regolamentata in Italia può, inoltre, essere anche riconosciuto se il richiedente, in possesso dei requisiti sopracitati, abbia esercitato a tempo pieno per due anni nel corso dei precedenti dieci;

2 – un regime basato sull’esperienza professionale maturata nello Stato membro d’origine (artt. 27-30). Il sistema si applica ad attività di tipo artigianale, commerciale o industriale specificatamente indicate nell’Allegato IV del decreto e prevede un riconoscimento automatico se sono rispettate le condizioni espressamente previste per le singole categorie professionali (si prendono in considerazione elementi quali la durata, il tipo di esperienza professionale, come lavoratore autonomo o dipendente, la formazione pregressa);

3 – un regime di riconoscimento automatico dei titoli di formazione per un limitato numero di professioni settoriali sulla base dell’avvenuta armonizzazione delle condizioni minime di formazione (si tratta delle 7 professioni elencate all’allegato V al decreto legislativo: medico, infermiere, odontoiatra, veterinario, ostetrica, farmacista e architetto) tale regime prevede che l’autorità competente dello Stato membro ospitante non può richiedere documenti che specifichino la formazione acquisita.

Alla disciplina comune e a quella specifica relativa alle singole professioni per le quali è previsto il riconoscimento automatico è dedicata la seconda parte del D.Lgs. 206 (artt. 31-58). A tale automatismo sono previste specifiche deroghe che giustificano il ricorso al regime generale di riconoscimento; tali deroghe sono possibili, ai sensi dell’art. 10 della direttiva, anche in presenza di una ragione specifica ed eccezionale per cui i richiedenti non soddisfano le condizioni generali del riconoscimento (tale ultima previsione dell’art. 10 non è tuttavia stata recepita nell’art. 18 del D.Lgs. 206).

Ai fini del riconoscimento, il decreto legislativo 206/2007 individua, in ragione dei diversi settori professionali, le Autorità competenti a ricevere le domande e a prendere le relative decisioni (art. 5).

In particolare, tali autorità sono individuate: nella Presidenza del Consiglio per le attività che riguardano il settore sportivo, il settore turistico e, salvo eccezioni, per le professioni svolte in regime di lavoro subordinato presso la pubblica amministrazione; nei diversi Ministeri competenti per lo specifico settore; nel Ministero titolare della vigilanza per le professioni che necessitano, per il loro esercizio, dell’iscrizione in ordini, collegi, albi, registri o elenchi; nelle regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano per le professioni per le quali sussiste competenza esclusiva, ai sensi dei rispettivi statuti.

In attuazione della direttiva, il D.Lgs. 206/2007 prevede una stretta collaborazione amministrativa – con scambio di informazioni anche per via telematica – tra le autorità competenti dello Stato membro ospitante e di quello d’origine (art. 8).

Tale collaborazione avviene anche attraverso:

la designazione del Dipartimento per le politiche europee come Coordinatore nazionale presso la Commissione europea – che dovrà promuovere l’applicazione uniforme della direttiva da parte delle autorità competenti – e come Punto nazionale di contatto per le informazioni e l’assistenza sui riconoscimenti previsti dal decreto legislativo;

la creazione di piattaforme comuni ovvero l’insieme dei criteri delle qualifiche professionali in grado di colmare le differenze sostanziali individuate tra i requisiti in materia di formazione esistenti nei vari Stati membri per una determinata professione; lo scambio di informazioni, anche per via telematica, tra le autorità amministrative competenti (per l’Italia i diversi ministeri) che possono riguardare anche le azioni disciplinari e le sanzioni penali adottate nei riguardi del professionista oggetto di specifica procedura di riconoscimento (gli ordini e collegi professionali competenti, se esistenti, devono dare comunicazione all’autorità di tutte le sanzioni che incidono sull’esercizio della professione). la partecipazione dei rappresentanti degli Stati membri nel Comitato per il riconoscimento delle qualifiche professionali.

Le iniziative dell’UE in materia di qualifiche professionali

Per agevolare il riconoscimento delle qualifiche professionali nell’UE la Commissione europea ha proceduto alla creazione di:

– una banca dati delle professioni regolamentate coperte dalla direttiva 2005/36/CE; che contiene informazioni su quali professioni sono regolamentate in quali Paesi e da quali autorità, sui titoli che sulle qualifiche; la banca dati a breve dovrebbe contenere anche la descrizione puntuale dei requisiti di accesso e della formazione richiesta;

– uno strumento elettronico multilingue (cd. I.M.I., Internal Market Information) utilizzato per lo scambio di informazioni tra le autorità competenti dei 28 Stati membri dell’UE in relazione a tutte le direttive del mercato interno; il sistema è stato sviluppato dalla Commissione europea in collaborazione con gli Stati membri (secondo quanto stabilito dal Regolamento 1024/2012/UE) per rendere. Più facile e più rapida la cooperazione amministrativa tra autorità competenti degli Stati membri, contribuendo in tal modo ad accelerare le procedure e riducendo i costi dovuti alle attese.

– un gruppo dei coordinatori nazionali, al quale partecipa anche un rappresentante della Commissione europea.

Il gruppo di coordinatori per il riconoscimento delle qualifiche professionali è stato istituito con decisione della Commissione europea del 19 marzo 2007. Il gruppo, presieduto dalla Commissione, è incaricato di svolgere le seguenti funzioni:

a) avviare una cooperazione fra le autorità degli Stati membri e la Commissione sulle questioni relative al riconoscimento delle qualifiche professionali;

b) sorvegliare l’evoluzione delle politiche che presentano un impatto sulle professioni regolamentate per quanto riguarda le qualifiche;

c) facilitare l’attuazione della direttiva 2005/36/CE, in particolare tramite l’elaborazione di documenti di interesse comune, ad esempio orientamenti interpretativi;

d) realizzare uno scambio di esperienze e buone pratiche nei settori di cui ai punti precedenti.

La revisione del quadro normativo europeo sul riconoscimento delle qualifiche: la nuova direttiva 2013/55/CE

Nell’ambito delle iniziative volte a completare e rafforzare il mercato interno, la direttiva 2013/55/CE, di modifica della direttiva 2005/36/CE, ha introdotto numerose modifiche alla disciplina sul riconoscimento delle qualifiche professionali nell’Unione.

La direttiva discende dalla necessità – emersa da valutazioni effettuate dalla Commissione europea sullo stato di attuazione della direttiva 2005/36/CE – di rimuovere gli ostacoli ancora esistentiin materia di riconoscimento delle qualifiche professionali quali la complessità delle prassi e le irregolarità amministrative, i ritardi nelle procedure di riconoscimento e le resistenze corporative a livello nazionale.

Tra i punti più qualificanti della nuova disciplina si segnalano:

l’introduzione di una tessera professionale europea (E.P.C.) volta a facilitare il riconoscimento delle qualifiche professionali conseguite nell’UE; inizialmente, l’EPC sarà disponibile solo per alcune professioni selezionate che presentano una elevata mobilità e che figurano tra quelle per le quali è stato manifestato interesse;

l’accesso parziale ovvero la possibilità per il professionista di esercitare in uno Stato membro l’attività solo nel settore per cui è pienamente qualificato nello Stato di origine, evitando l’obbligo di misure compensative;

un migliore accesso alle informazioni relative al riconoscimento delle qualifiche professionali mediante il ricorso a punti di contatto uniciistituiti nel quadro della direttiva 2006/123/CE sui servizi nel mercato interno;

il riconoscimento del tirocinio professionale svolto in altro Stato membro, a condizione che si attenga alle specifiche linee guida pubblicate per ogni professione;

il superamento della comparazione dei soli livelli di qualifica ai fini del riconoscimento professionale (andranno considerate anche le conoscenze e le abilità acquisite con l’esperienza professionale o mediante formazione permanente);

la riduzione da due anni a un anno dell’esperienza professionale richiesta per esercitare una prestazione temporanea e occasionale in altro Paese membro;

la revisione dei requisiti minimi di formazione delle professioni settoriali per i quali vige attualmente il riconoscimento automatico (medico, infermiere, ostetrica, odontoiatra, veterinario, farmacista e architetto);

una diversa considerazione dei livelli di qualifica ai fini del diritto di stabilimento;

la possibilità di computare i crediti formativi nella durata di un programma di studio sulla base del sistema europeo di accumulazione e trasferimento dei crediti formativi(European Credit Transfer and Accumulation System, ECTS). Tali crediti sono già utilizzati da una larga parte degli istituti di insegnamento superiore dell’Unione e il loro impiego sta diventando pratica comune anche per i corsi che consentono di conseguire le qualifiche richieste per l’esercizio di una professione regolamentata.. Un credito ECTS corrisponde a 25-30 ore di studio, mentre per il completamento di un anno accademico sono di norma richiesti 60 crediti.

L’introduzione di un meccanismo di allerta in base al quale le autorità competenti dei singoli Stati membri saranno tenute a segnalare alle proprie omologhe degli altri Stati membri i nominativi dei professionisti che lavorano in ambito sanitario (e che esercitano attività relative all’istruzione dei minori, tra cui l’assistenza e l’istruzione della prima infanzia) cui è stato vietato, da un’autorità pubblica o un tribunale, di esercitare, anche temporaneamente, la professione;

la creazione di un quadro di formazione comune e di verifiche professionali comuni allo scopo di estendere il riconoscimento automatico a nuove professioni;

la possibilità, per la Commissione UE, di aggiornare la lista delle attività artigianali per le quali è sancito il riconoscimento automatico sulla base della sola esperienza professionale;

la trasformazione dei punti di contatto nazionali in centri di assistenza, con la creazione di sportelli fisici che forniscono informazione, consulenza e assistenza ai cittadini;

la previsione di un processo di trasparenza con il quale ogni Stato membro dovrà esaminare la propria disciplina sulle professioni per verificare che non sia discriminatoria.

IL PROCEDIMENTO AMMINSITRATIVO

Ai sensi dell’’art. 16, co. 6 del d.lgs. d.lgs. n. 9 novembre 2007, n. 206, “sul riconoscimento provvede l’autorità competente con proprio provvedimento, da adottarsi nel termine di tre mesi dalla presentazione della documentazione completa da parte dell’interessato” e del comma 2, stesso articolo, secondo il quale “entro trenta giorni dal ricevimento della domanda di cui al comma 1 l’autorità accerta la completezza della documentazione esibita, e ne da’ notizia all’interessato. Ove necessario, l’Autorità competente richiede le eventuali necessarie integrazioni”.

Ne consegue che il termine complessivo entro il quale l’Amministrazione deve emettere il provvedimento conclusivo del procedimento può approdare, al massimo, a quattro mesi, in caso di richiesta, contemplata dal predetto comma 2, delle eventuali necessarie integrazioni.

Va tenuto presente che ai sensi e per gli effetti della disposizione di cui all’Art. 2. (Conclusione del procedimento) della legge 241/1990, (articolo così sostituito dall’art. 7, comma 1, legge n. 69 del 2009) è stabilito “ 1. Ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad un’istanza, ovvero debba essere iniziato d’ufficio, le pubbliche amministrazioni hanno il dovere di concluderlo mediante l’adozione di un provvedimento espresso. Se ravvisano la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza della domanda, le pubbliche amministrazioni concludono il procedimento con un provvedimento espresso redatto in forma semplificata, la cui motivazione può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo. (comma così modificato dall’art. 1, comma 38, legge n. 190 del 2012).

Pertanto, in caso di proposizione di un’istanza di riconoscimento della qualifica professionale conseguita all’estero ai sensi del D.Lgs. 206/2007, decorsi 4 mesi dalla presentazione dell’istanza è possibile agire contro il silenzio “inadempimento” dell’Amministrazione per accertare l’illegittimità del comportamento omissivo della stessa, quale violazione dell’obbligo di pronunciarsi in modo espresso sull’accoglibilità o meno di una domanda che ad essa è stata avanzata.

L’Amministrazione è, infatti, tenuta ad adottare un provvedimento motivato sulle istanze volte ad ottenere l’esercizio di un potere che l’ordinamento le ha attribuito (quando al silenzio non è attribuito dalla legge un significato di assenso o di diniego sulla richiesta presentata), e ciò anche quando eventualmente ritenga di dover respingere le domande presentate (fatto salvo il caso di domande manifestamente prive di fondamento o sulle quali ha già provveduto), anche al fine di consentire agli interessati di poter utilizzare tutti gli strumenti che l’ordinamento ha previsto per la tutela delle loro ragioni.

Il giudizio sul silenzio inadempimento (o rifiuto), ora disciplinato dagli artt. 117 e 31 del Codice del processo amministrativo (e prima dall’art. 21 bis della legge T.A.R.), ha pertanto per oggetto l’accertamento dell’illegittimità del silenzio serbato dall’Amministrazione sull’istanza che le è stata presentata e sulla quale doveva provvedere.

Il primo comma dell’art. 31 prevede quindi che «decorsi i termini per la conclusione del procedimento amministrativo, chi vi ha interesse può chiedere l’accertamento dell’obbligo dell’amministrazione di provvedere».

Il secondo comma della citata norma prevede poi che «l’azione può essere proposta fintanto che perdura l’inadempimento e, comunque, non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento. È fatta salva la riproponibilità dell’istanza di avvio del procedimento ove ne ricorrano i presupposti».

La suddetta disposizione stabilisce che l’azione contro il silenzio dell’Amministrazione può essere proposta fintanto che perdura l’inadempimento e cioè fino a quando l’Amministrazione non ha (anche se tardivamente) provveduto, non avendo la legge assegnato al silenzio il significato di accoglimento o di rigetto della domanda.

Ciò conferma la natura non perentoria del termine di conclusione del procedimento, fatte salve le possibili conseguenze per il ritardo a provvedere, non essendo stata prevista la consumazione del potere amministrativo allo scadere del termine assegnato per la conclusione del procedimento.

Tuttavia, per evitare una indefinita protrazione della possibilità di proporre la relativa azione davanti al giudice amministrativo, è stato previsto il termine massimo di un anno entro il quale deve essere contestata l’inerzia illegittima dell’amministrazione. Il legislatore, infatti, al fine di attenuare il rischio che, eliminato l’onere della diffida, il silenzio inadempimento potesse divenire inoppugnabile dopo il decorso del termine (normalmente) più breve previsto per proposizione dei ricorsi davanti al giudice amministrativo, ha ritenuto congruo assegnare alla parte istante il termine di un anno (dal termine assegnato all’Amministrazione per la conclusione del procedimento) per esercitare l’azione tendente ad accertare l’illegittimità dell’inerzia.Decorso tale termine la parte, se ha ancora interesse ad ottenere una pronuncia dall’Amministrazione, può rivolgere alla stessa una nuova istanza ed eventualmente, se l’Amministrazione non provvede nel termine procedimentale assegnato, può impugnare tempestivamente il nuovo silenzio inadempimento formatosi.

Con riguardo allo svolgimento del procedimento amministrativo che viene instaurato dalla proposizione di un’istanza di riconoscimento ai sensi del D. Lgs. 206/2007, la giurisprudenza comunitaria e quella italiana, deve garantire una corretta istruttoria al fine di garantire sia l’obbligo motivazionale sia l’effettiva valutazione del titolo.

L’esame della corrispondenza tra le conoscenze e le qualifiche attestate dal diploma straniero e quelle richieste dalla normativa dello Stato membro ospitante deve essere effettuato dalle autorità nazionali secondo un procedimento che sia conforme ai requisiti posti dal diritto dell’UE a proposito della tutela effettiva dei diritti fondamentali conferiti dal trattato ai cittadini dell’Unione.

Ne consegue che ogni decisione presa dalle autorità nazionali in relazione all’esame deve essere soggetta ad un gravame di natura giurisdizionale che consente di verificarne la legittimità rispetto al diritto dell’UE e che l’ interessato deve poter venire a conoscenza dei motivi che stanno alla base della decisione adottata nei suoi confronti ( cfr. sentenza in Unectef/Heylens, già citata, punto 17, e in  Vlassopoulou, già citata, punto 22).

La giurisprudenza del CGE ha chiarito che uno Stato membro non può negare il riconoscimento di un titolo professionale per il solo fatto che il richiedente non ha effettuato il tirocinio pratico nello Stato membro di destinazione (Causa C-118/2009) e che il diritto dei cittadini di scegliere, da un lato lo Stato membro nel quale desiderano acquisire il proprio titolo professionale e, dall’altro, quello in cui hanno intenzione di esercitare la loro professione è interente l’esercizio, in un mercato unico, delle libertà garantite dai Trattati (Commissione c. Spagna, Causa C-286/2006).

Sulla scorta dei principi di diritto direttamente e chiaramente desumibili dalla richiamata giurisprudenza comunitaria così come trasposti nella normativa di diritto interno, quand’anche lo Stato italiano, e per esso il Ministero, ritenesse di non essere vincolato dalla procedura di cui alla direttiva 36/2005/CE non possono, in ogni caso, violare i principi sanciti nel Trattato in materia di libertà di stabilimento o di libera circolazione dei lavoratori.

Se, infatti, le norme nazionali non tengono conto delle conoscenze e delle qualifiche già acquisite da un cittadino di un altro Stato membro al di fuori dello Stato ospitante, l’esercizio delle libertà di stabilimento e di circolazione è ostacolato.

In materia di riconoscimento delle qualifiche professionali conseguite all’estero la giurisdizione amministrativa italiana in modo ormai consolidato impone che le amministrazioni competenti si ispirino a criteri di congruità nella valutazione delle formazioni conseguite all’estero “nei termini chiariti dalla giurisprudenza europea” invocando il carattere cogente e imperativo dei principi enunciati dalla giurisprudenza comunitaria rispetto alla determinazione dei contenuti della volontà dell’amministrazione perché espressivi di preminenti interessi generali di diretta derivazione comunitaria.

Secondo un consolidato orientamento del Consiglio di Stato, infatti,nell’esercizio dell’attività amministrativa procedimentale finalizzata al riconoscimento del titolo conseguito deve svolgere una valutazione della “durata complessiva, il livello e la qualità delle formazioni a tempo parziale nonsiano inferiori a quelli delle formazioni continue a tempo pieno” (cfr. ad es. Cge n. 675 del 2018)” …“a fronte della chiarezza dei principi e delle norme europee rilevanti in materia, non occorre sottoporre la questione alla Corte di giustizia in termini di rinvio pregiudiziale” in conformità alle chiare disposizioni di cui all’articolo 45 TFUE secondo cui “quando esamina una domanda di partecipazione proposta da un cittadino di tale Stato membro, subordini tale partecipazione al possesso dei diplomi richiesti dalla normativa di detto Stato membro o al riconoscimento dell’equipollenza accademica di un diploma di master rilasciato dall’università di un altro Stato membro, senza prendere in considerazione l’insieme dei diplomi, certificati e altri titoli nonché l’esperienza professionale pertinente dell’interessato, effettuando un confronto tra le qualifiche professionali attestate da questi ultimi e quelle richieste da detta normativa (cfr. ad es. Corte giustizia UE sez. II, 06/10/2015, n.298). In tale ottica, le norme della direttiva 2005/36/CE , relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, devono essere interpretate nel senso che impongono ad uno Stato membro di riconoscere in modo automatico i titoli di formazione previsti da tale direttiva e rilasciati in un altro Stato membro al termine di formazioni in parte concomitanti, a condizione che “la durata complessiva, il livello e la qualità delle formazioni a tempo parziale non siano inferiori a quelli delle formazioni continue a tempo pieno” (cfr. più di recente Corte giustizia UE , sez. III, 06/12/2018 , n. 675).

In base all’art. 13 della direttiva 2013/55/Ue, prosegue il Collegio, che ha modificato la predetta direttiva 2005/36, rubricato condizioni di riconoscimento: “1. Se, in uno Stato membro ospitante, l’accesso a una professione regolamentata o il suo esercizio sono subordinati al possesso di determinate qualifiche professionali, l’autorità competente di tale Stato membro permette l’accesso alla professione e ne consente l’esercizio, alle stesse condizioni previste per i suoi cittadini, ai richiedenti in possesso dell’attestato di competenza o del titolo di formazione di cui all’articolo 11, prescritto da un altro Stato membro per accedere alla stessa professione ed esercitarla sul suo territorio. Gli attestati di competenza o i titoli di formazione sono rilasciati da un’autoritàcompetente di uno Stato membro, designata nel rispetto delle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative di detto Stato membro”. A propria volta il successivo comma 3 statuisce: “3. Lo Stato membro ospitante accetta il livello attestato ai sensi dell’articolo 11 dallo Stato membro di origine nonché il certificato mediante il quale lo Stato membro di origine attesta che la formazione e l’istruzione regolamentata o la formazione professionale con una struttura particolare di cui all’articolo 11, lettera c), punto ii), è di livello equivalente a quello previsto all’articolo 11, lettera c), punto i).”

L’amministrazione, infatti, “è chiamata unicamente alla valutazione indicata dalla giurisprudenza appena richiamata, cioè alla verifica che, per il rilascio del titolo di formazione ottenuto in un altro Stato membro al termine di formazioni in parte concomitanti, la durata complessiva, il livello e la qualità delle formazioni a tempo parziale non siano inferiori a quelli delle formazioni continue a tempo pieno” (Consiglio di Stato, sez. VI, 17 febbraio 2020, n. 1198; cfr. anche sez. VI, 2 marzo 2020, n. 1521; 20 aprile 2020, n. 2495; 8 luglio 2020, n. 4380) con l’ulteriore obbligo di adottare provvedimenti all’esito di adeguata istruttoria.

IL RICONOSCIMENTO FINALIZZATO.

La convenzione di Lisbona.

La Convenzione sul riconoscimento dei titoli di studio relativi all’insegnamento superiore nella Regione europea, fatta a Lisbona l’11 aprile 1997
 La Convenzione è stata adottata nella Conferenza Diplomatica di Lisbona dell’11 aprile 1997.

Essa supera tutte le precedenti Convenzioni in materia di riconoscimento dei titoli accademici adottate dal Consiglio d’Europa e dall’Unesco. 

La Convenzione è stata firmata dall’Italia l’11 Aprile 1997 e successivamente ratificata con Legge 11 luglio 2002, n.148 di Ratifica ed esecuzione della Convenzione sul riconoscimento dei titoli di studio relativi all’insegnamento superiore nella Regione europea, fatta a Lisbona l’11 aprile 1997, e norme di adeguamento dell’ordinamento interno.

La Convenzione nasce con lo scopo di favorire la mobilità interuniversitaria, garantendo il reciproco riconoscimento dei titoli e dei percorsi di studio tra i Paesi firmatari, laddove possibile.

Ai sensi dell’articolo 1 la convenzione disciplina il riconoscimento dei titoli idonei a consentire “L’Accesso (all’insegnamento superiore)”, ovvero il diritto dei candidati qualificati a richiedere l’ammissione all’insegnamento superiore, ovvero l’ammissione agli istituti e ai programmi di insegnamento superiore disciplinando l’atto o il sistema che permettono ai candidati qualificati di seguire degli studi in un determinato istituto e/o un determinato programma d’insegnamento superiore, nonché (la valutazione) cioè il processo che permette di stabilire la qualità dell’insegnamento di un istituto o di un programma di insegnamento superiore mediante l’apprezzamento scritto, redatto da un organismo competente, delle qualifiche estere di un individuo.

La Convenzione individua, per ciascuno dei procedimenti finalizzati di riconoscimento, un’apposita autorità competente intesa come “organismo ufficialmente incaricato di stabilire le decisioni vincolanti di riconoscimento delle qualifiche estere conseguite nell’ambito di Istituti di insegnamento superiore, ovvero istituti che forniscono un insegnamento superiore e riconosciuto dall’autorità competente di una Parte come appartenenti al proprio sistema di insegnamento superiore e all’esito di un programma di insegnamento superiore, ovvero un ciclo di studi riconosciuto dall’autorità competente di una Parte come appartenente al proprio sistema di insegnamento superiore la cui riuscita comporta per lo studente una qualifica di insegnamento superiore, ovvero di un periodo di studi inteso comeparte di un programma di insegnamento superiore, che è stato oggetto di una valutazione e di una convalida e che, sebbene da solo non costituisca un programma di studi completo, rappresenti un miglioramento significativo delle conoscenze ed attitudini.

Il riconoscimento ai sensi della Convenzione si concreta in un attestato, dello stesso valore della qualifica di un insegnamento estero, redatto da un’autorità competente al fine di accedere alle attività di insegnamento e/o lavorative. Idoneo a soddisfare talune condizioni generali o specifiche se attinenti ad una qualifica specifica di insegnamento superiore in una particolare disciplina di studi.

Le disposizioni sono immediatamente vincolanti per le autorità statali, centrali o periferiche ovvero agli istituti di insegnamento superiore o ad altre entità che in base all’organizzazione dello Stato siano competenti all’adozione dei provvedimenti di riconoscimento e gli Stati sono tenuti ad adottare tutte le misure possibili per garantire la più favorevole applicazione del testo della Convenzione che, ad ogni modo, non può derogare le disposizioni più favorevoli, contenute in trattati esistenti o futuri, o che dipendano da esso, relative al riconoscimento delle qualifiche rilasciate in una delle Parti, di cui una Parte della presente Convenzione sarebbe o potrebbe diventare Parte.

La convenzione impone l’adozione di procedimenti amministrativi di riconoscimento ispirati al rispetto e alla garanzia della trasparenza e introduce un obbligo di carattere generale in capo agli Stati contraenti di riconoscere, ai fini dell’accesso ai programmi appartenenti al proprio sistema di insegnamento superiore, le qualifiche rilasciate dalle altre Parti che soddisfano le condizioni generali di accesso all’insegnamento superiore, a meno che non si possa dimostrare che esiste una differenza sostanziale tra le condizioni di accesso nella parte in cui la qualifica è stata ottenuta e nella parte in cui viene richiesto il riconoscimento della qualifica.

I procedimenti di valutazione in tal caso devono comunque ispirarsi a criteri di reciprocità tra gli Stati rispetto ai criteri di riconoscimento.

La legge di ratifica della convenzione di Lisbona n. 148/2002.

Lo Stato Italiano, in seguito all’adesione alla Convenzione di Lisbona, ha ratificato la convenzione per mezzo della legge  di ratifica 11 luglio 2002, n. 148, da considerarsi norma supra-legislativa, quindi prevalente rispetto alle altre leggi ordinarie.

La legge nazionale recepisce integralmente il testo della Convenzione ribadendo che la competenza per il riconoscimento dei cicli e dei periodi di studio svolti all’estero e dei titoli di studio stranieri, ai fini dell’accesso all’istruzione superiore, del proseguimento degli studi universitari e del conseguimento dei titoli universitari italiani, è attribuita alle Università ed agli Istituti di istruzione universitaria.

Inoltre, la norma attribuisce il riconoscimento dei titoli accademici per finalità diverse da amministrazioni dello Stato, nella fattispecie le Amministrazioni interessate per Competenza (ad esempio il Ministero della Salute per i titoli dell’area sanitaria), nel rispetto delle disposizioni vigenti in materia di riconoscimento ai fini professionali e di accesso ai pubblici impieghi, secondo procedure da stabilire con successivo regolamento di esecuzione.

Infine, la legge 148/2002 riconosce in capo al Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca l’istituzione di una centro nazionale di informazione (ENIC-NARIC). In applicazione dell’Articolo IX.2 della suddetta Convenzione, l’Italia ha affidato al CIMEA (Centro di Informazione sulla Mobilità e le Equivalenze Accademiche), il compito di svolgere le attività di Centro nazionale di informazione sulle procedure di riconoscimento dei titoli vigenti in Italia, sul sistema italiano d’istruzione superiore e sui titoli presenti a livello nazionale, depositando tale designazione presso il Consiglio d’Europa.

L’art. 2 della legge 148/2002, infatti, dispone espressamente quanto segue: “1. La competenza per il riconoscimento dei cicli e dei periodi  di studio svolti all’estero e dei titoli di studio  stranieriai  fini dell’accesso all’istruzione superiore, del proseguimento degli  studi universitari e del conseguimento dei titoli universitari italiani, e’ attribuita  alle  Università  ed   agli   Istituti   di   istruzione universitaria, che la esercitano nell’ambito della loro  autonomia  e in conformità ai rispettivi ordinamenti,  fatti  salvi  gli  accordi bilaterali in materia.

Tuttavia, l’art. 5 della L. 148/2002, ha stabilito espressamente che “il riconoscimento dei titoli accademici per finalità diverse da quelle indicate nell’articolo 2, è operato da amministrazioni dello Stato, nel rispetto delle disposizioni vigenti in materia di riconoscimento ai fini professionali e di accesso ai pubblici impieghi, secondo procedure da stabilire con successivo regolamento di esecuzione.

QUINDI RICORRE UNA COMPETENZA GENERALIZZATA DEL MINISTERO DELL’ISTRUZIONE IN MATERIA DI RICONOSCIMENTO DEL TITOLO ACCADEMICO AI FINI DELL’ACCESSO ALL’ISTRUZIONE SUPERIORE E UNA MOLTEPLICITÀ DI DIFFERENTI ORGANI COMPETENTI INDIVIDUATI DALLA LEGGE IN RELAZIONE ALLA CONCRETA FINALITÀ CHE ATTRAVERSO IL RICONOSCIMENTO DEL TITOLO SI INTENDE PERSEGUIRE.

Il regolamento di esecuzione in questione è il DPR 189/2009 che relativamente ai titoli che consentono l’accesso al pubblico impiego introduce una specifica disciplina rinvenibile nell’art. 2 e nella richiamata disciplina di cui all’art.38 del D. Lgs. 165/2001.

E DUNQUE DISTINGUIAMO:

1 – nell’ipotesi in cui il riconoscimento del titolo universitario sia prodromico soltanto ai fini dell’attribuzione del punteggio nella valutazione dei titoli dei candidati, la competenza è devoluta, ai sensi dell’art. 3 del richiamato d.P.R. n. 189/2009, al Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca oggi Ministero dell’Istruzione.

2 – Nelle ipotesi di riconoscimento non accademico per la partecipazione a concorsi pubblici sono vincolanti le disposizioni di cui al DP.R. n. 189/2009 art 5. Quest’ultimo, adottato con d.P.R. n. 189/2009, all’art. 2 da leggersi in combinato disposto con l’art. 38 del d. lgs. n. 165/2001 (T.U.P.I.), radica la competenza in capo alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della Funzione Pubblica.

I PROCEDIMENTI AMMINISTRATIVI.

L’attività procedimentale non è solo scandita sul piano procedurale trattandosi di una valutazione comparativa ma necessariamente orientata alla specifica valutazione della qualificazione e dell’esperienza professionale come risultante dalla documentazione allegata all’istanza in ottemperanza ai principi richiamati dalla giurisprudenza comunitaria: il Consiglio di Stato , infatti, ha tratteggiato i lineamenti giuridici e i contenuti di un’attività procedimentale funzionalmente preordinata alla valutazione di titoli ed esperienze che proprio a garanzia della libertà di circolazione delle persone nello spazio Europeo affranca l’amministrazione dalla valutazione di specifiche condizioni di reciprocità e ancora il procedimento amministrativo alla valorizzazione delle competenze acquisite dall’istante dando concretezza all’autoreferenzialità del provvedimento all’interno del singolo Stato membro obbligato per il tramite della sua amministrazione a garantire la primauté del diritto europeo sul diritto nazionale.

Ricostruita la disciplina del procedimento di riconoscimento del titolo conseguito all’estero nella fase della c.d. “riedizione del potere amministrativo” il Consiglio di Stato enuncia una regola generale applicabile tout court al procedimenti amministrativi “di valutazione e di riconoscimento” del titolo conseguito all’estero.

La valorizzazione dei principi comunitari così come elaborati ed affermati a livello giurisprudenziale comunitario e statale realizza, così, la migliore garanzia della valorizzazione della professionalità nello specifico ordinamento statale tanto da imporsi all’amministrazione alla stregua di un vincolo procedimentale e contenutistico insuperabile che integra la legittimità dell’atto amministrativo sia sul piano della correttezza e della sufficienza motivazionale come conseguenza di uno specifico onere istruttorio sia sul piano contenutistico come consegue di uno specifico onere valutativo di tipo comparativo riferito ai titoli ed alle competenze professionali.

Il giudizio di  riconoscimento finalizzato (la vecchia Equivalenza) è un giudizio collegato a un caso specifico in base al quale si accerta  che il titolo di studio estero equivale a un titolo di studio italiano, senza per questo conferire valore legale al titolo La dichiarazione di  riconoscimento accademico  (la vecchia  Equipollenza) è un’analisi dettagliata del percorso di studi  al cui termine l’atto dichiarativo conferisce valore legale al titolo e riconosce la validità del titolo straniero in Italia, assimilandolo una tantum a un titolo italiano e consentendone tutti gli usi ad esso collegabili (articoli 2 e 3 legge 148 del 2002 di ratifica ed esecuzione della Convenzione di Lisbona  sul riconoscimento dei titoli di studio  dell’insegnamento superiore nella regione europea).

Per il riconoscimento dei titoli di studio conseguiti negli istituti di istruzione superiore stranieri, ai fini dell’accesso ai pubblici concorsi, si applicano le procedure previste dall’articolo 38, comma 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, fermi restando i requisiti soggettivi previsti dalle norme vigenti in materia di accesso al pubblico impiego.

Gli interessati inviano la domanda al Ministero e alla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della funzione pubblica corredata dei seguenti documenti:

a) titolo di studio estero, tradotto e legalizzato;

b) certificato analitico degli esami sostenuti, rilasciato dall’istituto ove e’ stato conseguito il titolo di studio e tradotto;

c) dichiarazione di valore in loco della Rappresentanza diplomatico-consolare italiana competente per territorio nello Stato al cui ordinamento si riferisce il titolo di studio, che specifichi durata del corso, valore del titolo di studio e natura giuridica dell’istituto che lo ha rilasciato nell’ambito del predetto ordinamento;

d) bando del concorso cui si intende partecipare con evidenziati i requisiti previsti per l’accesso.

La Traduzione

Deve essere effettuata da un professionista iscritto nelle liste dei traduttori giurati presso la rappresentanza diplomatica all’estero (Ambasciata di Italia e Consolato italiano).

La Legalizzazione

È la certificazione di un documento che ne garantisce l’autenticità. Bisogna rivolgersi alla Rappresentanza Diplomatica all’estero (Ambasciata di Italia e Consolato italiano). Se si è residenti in Italia, e non ci si può recare all’estero per fare la legalizzazione del titolo di studio, è possibile delegare un’altra persona o contattare la Rappresentanza Diplomatica Italiana per ricevere informazioni su come inviare i documenti in originale. Non sempre è necessario procedere con la legalizzazione (Vedere Convenzioni Internazionali) In alcuni casi l’Apostille può sostituire la legalizzazione

L’Apostille
è un timbro speciale apposto da un’autorità che certifica che un documento è una copia conforme dell’originale. L’Apostille è valida per gli stati che hanno sottoscritto la Convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961 relativa all’abolizione della legalizzazione di atti pubblici stranieri, ratificata dall’Italia con la legge 20 dicembre 1966 n. 1253 e sostituisce, solo tra essi, la legalizzazione.

Ogni Paese aderente indica quali sono le autorità competenti a rilasciare l’Apostille.
L’ “Apostille” non è necessaria quando il Paese da cui proviene l’atto straniero ha aderito ad una convenzione internazionale, bi- o pluri-laterale che la esclude.

Non sono obbligatorie né la legalizzazione né l’apostille quando:

– il titolo di studio è stato rilasciato da uno dei paesi che hanno firmato la Convenzione Europea di Bruxelles del 25 maggio 1987 (Belgio, Danimarca, Francia, Irlanda, Italia);

– il titolo di studio è stato rilasciato da un’istituzione tedesca a seguito della Convenzione italo- tedesca sull’esenzione dalla legalizzazione degli atti pubblici firmata a Roma il 16 giugno 1969 e ratificata dall’Italia con Legge 176/1973.

– Se un cittadino straniero ha conseguito un titolo di studio in Belgio, Danimarca, Francia, Irlanda, Germania, il titolo necessita solo della traduzione e non della legalizzazione o dell’Apostilla.

La Dichiarazione di Valore è:

– La descrizione ufficiale della qualifica che è stata conseguita nel paese di origine e verificata dalle Autorità italiane competenti.

– La Dichiarazione di Valore dà informazioni su un titolo di studio conseguito all’estero e sul suo valore nel Paese dove è stato svolto il corso di studi; ad esempio se il titolo di studio è stato rilasciato da un’istituzione ufficiale, la Dichiarazione contiene i requisiti di accesso al corso di studi, la durata del corso e le materie sostenute.

Il riconoscimento accademico (equipollenza): procedimento amministrativo
Il riconoscimento accademico (l’equipollenza)  dei titoli di studio esteri è il provvedimento mediante  il quale  i singoli Atenei attribuiscono a un titolo di studio conseguito all’estero lo stesso valore legale di un titolo di studio presente nell’ordinamento italiano. Viene rilasciata a specifiche condizioni esclusivamente dagli Atenei italiani ed è quindi presso gli Atenei che si deve inoltrare domanda. Il riconoscimento viene effettuato dalle autorità accademiche competenti entro il termine fissato dalla legge. Le autorità accademiche competenti possono:

– riconoscere l’equipollenza a tutti gli effetti del titolo accademico estero con quello rilasciato dall’Ateneo. La procedura di valutazione si conclude entro novanta giorni dalla presentazione dell’istanza;

– riconoscere il titolo ai fini dell’abbreviazione del similare corso di studi cui iscriversi per completare il percorso accademico e ottenere il titolo italiano.

Il riconoscimento finalizzato (equivalenza)  dei titoli di studio esteri è contenuto in un provvedimento (rilasciato solo per il motivo indicato e valido solo se utilizzato a quel fine, per cui deve essere nuovamente richiesta e il provvedimento nuovamente riemesso, ogni volta che si ripresenti il motivo d’interesse ), in ordine a determinate  casistiche  previste dall’articolo 38 del Decreto legislativo 165 del 2001, dal decreto del Presidente della Repubblica 189 del 2009 e dall‘articolo  12 Legge 29 del 2006 (gli  ultimi  due riferimenti normativi  riguardano, il primo, la procedura di riconoscimento  di   titoli acquisiti nei paesi aderenti alla convenzione di Lisbona dell’11 aprile 1997, il secondo, la procedura di valutazione  della corrispondenza  di titoli  e certificazioni comunitarie acquisiti nell’ Unione europea, negli Stati aderenti all’Accordo  sullo spazio economico europeo o nella Confederazione elvetica).

Il DPR 189/2009 non contiene anche la disciplina dei procedimenti amministrativi azionati dalle istanze di riconoscimento accademico e/o finalizzato e neppure annovera nel preambolo il riferimento alle disposizioni di cui alla legge 241/1990, ma si ritiene applicabile tale disciplina divenendo impugnabili, pertanto, i dinieghi delle varie istanze espressi e/o determinati dall’inerzia protratta dell’amministrazione decorsi trenta giorni dalla proposizione dell’istanza.

Inoltre, in tal caso, l’interesse all’impugnativa del diniego, nelle ipotesi di presentazione di un’istanza ai sensi dell’art. 2 per la partecipazione ad una procedura concorsuale pubblica, l’interesse all’impugnativa del diniego va valutato anche alla luce della effettive ciance di partecipazione alla stessa.

In alcuni casi anche i titoli di dottorato (PhD) rilasciati da università estere possono essere riconosciuti equipollenti al Dottorato di Ricerca italiano (DPR 382/80 art. 74).

La procedura di equipollenza dei dottorati esteri non rientra nell’ambito di applicazione della Legge 148/2002, ma l’autorità competente è il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, che si avvale del parere del CUN (Consiglio Universitario Nazionale).

IN CASO DI ISTANZA PRESENTATA AD UN ORGANO NON COMPETENTE L’ISTANZA PUO’ ESSERE RITENUTA VALIDA?

La risposta a tale interrogativo sembra essere positiva solamente se si estendono in via generale i principi desumibili sia dall’art. 6, c. 2 del D.P.R. n. 1847/2006 (dettato in materia di accesso ai documenti amministrativi) secondo cui: “La richiesta formale presentata ad amministrazione diversa da quella nei cui confronti va esercitato il diritto di accesso è dalla stessa immediatamente trasmessa a quella competente. Di tale trasmissione è data comunicazione all’interessato” sia dall’art. 2, c. 3 del D.P.R. n. 1199/1971 (dettato in materia di ricorso gerarchico) il quale prevede che: “I ricorsi rivolti, nel termine prescritto, a organi diversi da quello competente, ma appartenenti alla medesima amministrazione, non sono soggetti a dichiarazione di irricevibilità e i ricorsi stessi sono trasmessi d’ufficio all’organo competente”.

Sul punto, però, non c’è una risposta certa poiché manca una chiara disposizione legislativa.

Tale principio, tuttavia, sembra essere stato già accolto dall’Amministrazione tributaria. In realtà, in questo caso, c’è una norma specifica che prevede ciò: l’art.5 del D.M. n. 37/1997 stabilisce infatti che: “Le eventuali richieste di annullamento o di rinuncia all’imposizione in caso di autoaccertamento avanzate dai contribuenti sono indirizzate agli uffici di cui all’articolo 1; in caso di invio di richiesta ad ufficio incompetente, questo è tenuto a trasmetterla all’ufficio competente, dandone comunicazione al contribuente”.

Alla luce di ciò la giurisprudenza tributaria è giunta ad affermare che vi è un obbligo – almeno per questi enti – di trasmettere le istanza dei privati all’organo competente: “Non osta, del resto, a tale conclusione, la necessità del controllo sulla correttezza del rimborso (su cui nel caso di specie non si fa nessuna questione), tenuto conto del dovere di cooperazione esistente tra gli uffici e dell’obbligo dell’Ufficio finanziario, che riceva atti ritenuti appartenenti alla competenza di altro Ufficio, di inoltrarli a quello reputato competente, in considerazione del principio, da ultimo affermato da Cass. n. 6627 del 2013, secondo cui, per effetto delle norme sul procedimento amministrativo, di cui alla L. n. 241 del 1990, e del principio di buona fede ed affidamento del contribuente di cui alla citata L. n. 212 del 2000, art. 10, “in difetto di trasmissione dell’istanza… all’organo ritenuto competente o di comunicazione al contribuente da parte dell’Ufficio e nell’inerzia dell’Amministrazione finanziaria, il contribuente non ha ragione di dubitare della piena formazione del silenzio-rifiuto e, pertanto, ricorre l’ipotesi prevista dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 1, lett. g)” con la possibilità di impugnare il diniego davanti al giudice tributario” (Cass. civ., sez. trib., 19.12.2013, n. 28398), nonché “la prevalente giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto che la presentazione dell’istanza ad ufficio diverso, e quindi territorialmente incompetente, osti alla formazione del provvedimento negativo, anche nella forma del silenzio – rifiuto, e conseguentemente determini l’inammissibilità del ricorso presentato alla commissione tributaria per difetto di provvedimento impugnabile; improponibilità rilevabile d’ufficio dal giudice anche in sede di gravame, salvo che si sia già fermato sul punto un giudicato interno (v. ex plurimis Cass. N. 13194 del 16/07/2004n. 23701 del 15/11/2007n. 9095 del 2002; Sezioni Un. N. 11217 del 1997). Ritiene però il Collegio che simile drastica conclusione, che viene a penalizzare un errore meramente formale del contribuente, debba essere rivisitata alla luce dei principi di cooperazione, collaborazione e buona fede che, in base alla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, devono improntare i rapporti tra amministrazione finanziaria e contribuente.

Sulla scorta di simili principi questa sezione ha già riconosciuto che l’istanza di rimborso presentata ad un ufficio dell’amministrazione finanziaria, ancorchè incompetente funzionalmente o territorialmente a provvedere sulla medesima, è, atto idoneo ad impedire la decadenza del contribuente dal diritto al rimborso prevista dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38, (Cass. 6 maggio 2005, n. 9407Cass. N. 14212 del 28 luglio 2004). Ha però soggiunto che tale istanza – rivolta ad organo incompetente – non sarebbe invece idonea a determinare la formazione di un provvedimento di diniego nella forma del silenzio – rifiuto, e renderebbe conseguentemente inammissibile il ricorso al giudice tributario; quindi il contribuente dovrebbe, entro il termine prescrizionale di cui all’art. 2967 c.c., rinnovare l’istanza rivolgendola all’organo competente. Il Collegio ritiene che la coerenza del sistema imponga un ulteriore passo avanti e dunque di riconoscere che l’ufficio non competente che riceva un’istanza di rimborso è tenuto a trasmettere l’istanza all’ufficio competente, in conformità delle regole di collaborazione tra organi della stessa amministrazione (cfr. anche la L. 18 marzo 1968, n. 249, art. 5), restando configurabile, in difetto, un silenzio – rifiuto del rimborso medesimo, impugnabile dinanzi alle commissioni tributarie (Cass. 8 agosto 1988 n. 4878), e ciò sia perchè la domanda di rimborso non è rivolta ad un organo estraneo all’amministrazione finanziaria, sia perchè, in tema di rimborso, l’ordinamento impone una dovuta costante collaborazione organi (arg. D.P.R. n. 602 cit., ex art. 38, comma 3). La soluzione accolta appare, infine, conforme al principio più volte affermato da questa Corte e secondo cui le leggi devono essere interpretate alla luce delle esigenze di celerità processuale e di sollecita definizione dei diritti delle parti di cui all’art. 11 Cost., (cfr. le sentenze delle Sezioni Unite n. 24883 del 9 ottobre 2008 e n. 4109 del 22 febbraio 2007); appare infatti inutilmente defatigatorio imporre ad |un contribuente, il cui diritto non è venuto meno, di presentare una seconda istanza ed instaurare un secondo giudizio, senza che ciò risponda ad alcuna esigenza sostanziale, dal momento che l’amministrazione ha resistendo nel primo giudizio, manifestato la inequivocabile decisione di non procedere al rimborso” ed ancora che: “Al riguardo rileva che la giurisprudenza tributaria ha sancito l’applicazione ai casi di istanza e/o notifiche presentata ad organi diversi della stesa Amministrazione dei principi ex art 5 della l. 18 marzo 1968 n. 249 che prevedono la trasmissione d’ufficio dell’atto all’organo competente (C.T.C., sez XXVII, sent. n. 2693 del 5 aprile 1992 e sez. IV, sent. n. 4390 del 8 luglio 1992 – sez. XXIII sent. n. 3475 del 9 maggio 1990 e sez. XXV, sent. n. 5747 del 15 luglio 1987). L’equivalenza di un’istanza e/o della notifica di un atto indirizzato ad Ufficio Finanziario anziché ad un altro (e nel caso specifico alla Direzione Compartimentale – ufficio superiore) non solo è stata riconosciuta dalla magistratura tributaria (C.T.C., Sez. VII, sent. 3 gennaio 1992, n. 22; Sez. XXVII, sent. 5 aprile 1991, n. 2691; sez. XII, sent. 4 aprile 1989, n. 2451), ma anche dal Ministero delle Finanze che, con circolare 23 dicembre 1980, n. 38/15/5516, ha autorizzato gli Uffici periferici a trasmettersi le istanze e/o gli atti erroneamente notificati” (Comm. Trib. Reg. Bari, sez. XV, 26.04.2004, n. 7).

I TITOLI CONSEGUITI ALL’ESTERO PER L’INSEGNAMENTO IN ITALIA.

I titoli conseguiti all’estero per accedere all’insegnamento in Italia si differenziano a seconda che consentano l’accesso ad una specifica classe di concorso ovvero all’insegnamento del sostegno.

Mentre è certo che il titolo di cui si domanda il riconoscimento per l’insegnamento su materia e dunque per accedere ad una specifica classe di concorso il riconoscimento ha ad oggetto una qualifica professionale in ragione della natura abilitante all’insegnamento del titolo conseguito.

Il procedimento applicabile è pertanto quello previsto dal D.Lgs. 206/2007.

Discorso diversa va invece operato con riguardo al titolo di specializzazione per l’insegnamento del sostegno che in Italia è un titolo accademico non abilitante all’insegnamento del sostegno nella disciplina transitoria vigente, in attesa della istituzione di specifiche classi di concorso di sostegno.

IL TITOLO DI SPECIALIZZAZIONE SUL SOSTEGNO.

La specializzazione sul sostegno, che si distingue dall’abilitazione all’insegnamento, si concreta in corso/concorso con successiva formazione pratica: la specializzazione per l’attività’ di sostegno didattico agli alunni con disabilità si consegue esclusivamente presso le università mediante l’ammissione, la frequenza e il conseguimento di un titolo di specializzazione all’esito di un PERCORSO FORMATIVO con funzione specializzante.

La specializzazione sul sostegno è stata introdotta dal D.M. MIUR n. 249/2010 recante la disciplina del Regolamento concernente: «Definizione della disciplina dei requisiti e delle modalità della formazione iniziale degli insegnanti della scuola dell’infanzia, della scuola primaria e della scuola secondaria di primo e secondo grado, ai sensi dell’articolo 2, comma 416, della legge 24 dicembre 2007, n. 244».

Il predetto regolamento, infatti, in ragione di quanto espressamente definito dagli artt. 1, 2 e 3 ha determinato i “requisiti e le modalità della formazione iniziale degli insegnanti della scuola dell’infanzia, della scuola primaria e della scuola secondaria di primo e secondo grado, in coerenza con le previsioni di cui al piano programmatico adottato dal Ministro dell’istruzione dell’ università e della ricerca, ai sensi del predetto articolo 64 (art. 1)”.

In seguito, l’art. 1 del D.M. Miur 30/09/2011 ha disciplinato “Criteri e modalità per lo svolgimento dei corsi di formazione per il conseguimento della specializzazione per le attività di sostegno, ai sensi degli articoli 5 e 13 del decreto 10 settembre 2010, n. 249 “Specializzazione per il sostegno didattico agli alunni con disabilità”.

A tal fine, il predetto decreto ha stabilito quanto segue:

– che (art. 1) “in attesa della definizione di specifiche classi di concorso e della correlata istituzione di apposite lauree magistrali, le attività di sostegno didattico di cui all’art. 13, commi 3, 5 e 6 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, sono svolte da insegnanti muniti della relativa specializzazione conseguita nelle università, attraverso corsi attivati secondo i criteri stabiliti dal presente decreto”;

– che “1. Il profilo del docente specializzato, le tematiche delle prove di accesso, gli insegnamenti e le attività laboratoriali e di tirocinio, i crediti formativi universitari e gli aspetti organizzativi dei corsi di specializzazione per le attività di sostegno sono definiti negli allegati A, B e C, che costituiscono parte integrante del presente decreto. 2. I corsi sono a numero programmato. La programmazione e’ definita annualmente dal Ministro dell’istruzione, dell’università’ e della ricerca, ai sensi dell’art. 5 del decreto del medesimo Ministro 10 settembre 2010, n. 249, sulla base della programmazione regionale degli organici del personale docente della scuola e del fabbisogno specifico di personale specializzato per il sostegno didattico degli alunni con disabilità”.

L’accesso ai corsi di formazione specialistica è stato inizialmente riservato a docenti in possesso dell’abilitazione all’insegnamento per il  grado di scuola per il quale si intendesse conseguire la specializzazione per le attività’ di sostegno.

In seguito, il decreto legislativo n. 66/2017, attuativo della legge n. 107/2015, ha dettato esplicitamente nuove disposizioni per conseguire il titolo d’accesso all’insegnamento di sostegno presso la scuola dell’infanzia e primaria, superando quanto previsto, sostanzialmente,  dal DM n. 249/2010.

In seguito, il del Decreto Legislativo n. 59 del 13/04/2017 ha disposto misure inerenti il “riordino, adeguamento e semplificazione del sistema di formazione iniziale e di accesso nei ruoli di docente nella scuola secondaria. Il provvedimento prevede anche le nuove modalità di abilitazione e di reclutamento dei docenti di sostegno della scuola secondaria”, successivamente modificato dalla  legge di bilancio 2019 (L. 145/18 Art.1 comma 792) e dal successivo D.M. 92/19, che da ultimo ha apportato significative modifiche ai requisiti e alle modalità di accesso e all’organizzazione dei corsi.

Ed infatti, la disposizione di cui all’art. 5 comma 3 del predetto D. lgs. 59/1997 nel testo novellato dalla legge 145/2018, stabilisce, con riguardo alla materia oggetto del contendere di cui al presente giudizio che “3. …  Sono titoli di accesso ai percorsi di specializzazione i requisiti di cui al comma 1 o al comma 2 con riferimento alle procedure distinte per la secondaria di primo o secondo grado”.

Ai sensi del comma 1 e comma 2 (del medesimo Art. 5. “Requisiti di accesso”) “1. Costituisce titolo di accesso al concorso relativamente ai posti di docente di cui all’articolo 3, comma 4, lettera a), il possesso dell’abilitazione specifica sulla classe di concorso oppure il possesso congiunto di: a) laurea magistrale o a ciclo unico, oppure diploma di II livello dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica, oppure titolo equipollente o equiparato, coerente con le classi di concorso vigenti alla data di indizione del concorso; b) 24 crediti formativi universitari o accademici, di seguito denominati CFU/CFA, acquisiti in forma curricolare, aggiuntiva o extra curricolare nelle discipline antro-po-psico-pedagogiche e nelle metodologie e tecnologie didattiche, garantendo comunque il possesso di almeno sei crediti in ciascuno di almeno tre dei seguenti quattro ambiti disciplinari: pedagogia, pedagogia speciale e didattica dell’inclusione; psicologia; antropologia; metodologie e tecnologie didattiche.2. Costituisce titolo di accesso al concorso relativamente ai posti di insegnante tecnico-pratico, il possesso dell’abilitazione specifica sulla classe di  concorso oppure il possesso congiunto di: a) laurea, oppure diploma dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica di primo livello, oppure titolo equipollente o equiparato, coerente con le classi di concorso vigenti alla data di indizione del concorso; b) 24 CFU/CFA acquisiti in forma curricolare, aggiuntiva o extra-curricolare nelle discipline antro-po-psico-pedagogiche e nelle metodologie e tecnologie didattiche, garantendo comunque il possesso di almeno sei crediti in ciascuno di almeno tre dei seguenti quattro ambiti disciplinari: pedagogia, pedagogia speciale e didattica dell’inclusione; psicologia; antropologia; metodologie e tecnologie didattiche.

Successivamente, il D.M. 92/2019, recante “Disposizioni concernenti le procedure di specializzazione sul sostegno di cui al decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca l0 settembre 2010, n. 249 e successive modificazioni” ha dettato disposizioni concernenti i percorsi di specializzazione per il sostegno agli alunni e alle alunne con disabilità della scuola dell’infanzia e primaria e della scuola secondaria di I e II grado, integrando e aggiornando, a decorrere dall’anno accademico 2018/19, le disposizioni di cui al decreto del Ministro dell’ istruzione, dell’università e della ricerca 30 settembre 2011 con riguardo all’ “Offerta formativa e relativi requisiti)1. l percorsi di cui al presente decreto sono istituiti ed attivati dagli Atenei, anche in convenzione tra loro, nel limite dei posti autorizzati per ciascun Ateneo con decreto del Ministero, secondo le modalità ed i requisiti del decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca  dicembre 2016, n. 948. 2. Con successivo decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca sono autorizzati i percorsi di specializzazione di cui al presente provvedimento, è effettuata la 4 ripartizione dei contingenti e sono fissate le date uniche per ciascun indirizzo di specializzazione del test preliminare, nonché le eventuali deroghe alla data di termine dei percorsi di cui all’articolo 3, comma 3, in ragione delle tempistiche previste per gli adempimenti procedurali.

Articolo 3 (Requisiti di ammissione e articolazione del percorso) 1. Ai sensi della normativa vigente, sono ammessi a partecipare alle procedure di cui al presente decreto i candidati in possesso di uno dei seguenti titoli: a. per i percorsi di specializzazione sul sostegno per la scuola dell’infanzia e primaria, titolo di abilitazione all’insegnamento conseguito presso i corsi di laurea in scienze della formazione primaria o analogo titolo conseguito all’estero e riconosciuto in Italia ai sensi della normativa vigente; diploma magistrale, ivi compreso il diploma sperimentale a indirizzo psicopedagogico, con valore di abilitazione e diploma sperimentale a indirizzo linguistico, conseguiti presso gli istituti magistrali o analogo titolo di abilitazione conseguito all’estero e riconosciuto in Italia ai sensi della normativa vigente, conseguiti, comunque, entro l’anno scolastico 2001/2002; b. per i percorsi di specializzazione sul sostegno per la scuola secondaria di primo e secondo grado, il possesso dei requisiti previsti al comma 1 o al comma 2 dell’ articolo 5 del decreto legislativo con riferimento alle procedure distinte per la scuola secondaria di primo o secondo grado, nonché gli analoghi titoli di abilitazione conseguiti all’estero e riconosciuti in Italia ai sensi della normativa vigente. Sono altresì ammessi con riserva coloro che, avendo conseguito il titolo abilitante all’estero, abbiano presentato la relativa domanda di riconoscimento alla Direzione generale per gli ordinamenti scolastici e la valutazione del sistema nazionale di istruzione, entro la data termine per la presentazione delle istanze per la partecipazione alla specifica procedura di selezione”.

Dunque, (anche ai sensi del recente D.M. 95/2020 relativo all’attivazione dei percorsi di formazione per il conseguimento della specializzazione per le attività di sostegno scolastico TFA 2019/2020” per accedere ai corsi per i vari ordini di scuola occorre essere in possesso dei requisiti previsti dal D.M 92/19 e aver superato una prova di accesso predisposta dalle Università.

L’O.M. 60/2020 E L’ISTITUZIONE DELLE GRADUATORIE DI SOSTEGNO.

Le GPS gps e i titoli conseguiti all’estero.

Le GPS sono state disciplinate ed introdotte dall’O.M. 60/2020 che in prima applicazione e per il biennio relativo agli anni scolastici 2020/2021 e 2021/2022,  ha disciplinato “la costituzione delle graduatorie provinciali per le supplenze e delle graduatorie di istituto su posto comune e di sostegno nonché l’attribuzione degli incarichi a tempo determinato del personale docente nelle istituzioni scolastiche statali, su posto comune e di sostegno, e del personale educativo, tenuto altresì conto di quanto previsto all’articolo 4, commi 6 e 8, della legge 3 maggio 1999, n. 124”.

Per mezzo dell’Ordinanza, dunque, sono state introdotte, sulla base del decreto-legge 8 aprile 2020, n. 22, recante “Misure urgenti sulla regolare conclusione e l’ordinato avvio dell’anno scolastico e sullo svolgimento degli esami di Stato nonché in materia di procedure concorsuali e di abilitazione e per la continuità della gestione accademica”, convertito, con modificazioni, dalla legge 06 giugno 2020, n. 41 e, in particolare, l’articolo 2, comma 4-ter, le nuove “graduatorie provinciali scolastiche” – GPS, graduatoriedi insegnanti costituite, appunto, su base provinciale, divise per posto comune e di sostegno, ed utilizzate per assegnare le supplenze annuali (31 agosto) o quelle fino al termine delle lezioni(30 giugno) che non sia stato possibile conferire previo scorrimento delle graduatorie ad esaurimento, anch’esse costituite su base provinciale, sono divise in due fasce ed hanno validità per due anni: 2020/2021 e 2021/2022.

L’art. 3 dell’Ordinanza, recante proprio la disciplina delle GPS, dispone che “1. Ai sensi dell’articolo 4, commi 6, 6-bis e 6-ter, della Legge 124/1999, in ciascuna provincia sono costituite GPS finalizzate, in subordine allo scorrimento delle GAE, all’attribuzione delle supplenze di cui all’articolo 2, comma 4, lettere a) e b).

2. Le GPS, distinte in prima e seconda fascia ai sensi dei commi 5, 6, 7 e 8, sono costituite dagli aspiranti che, avendone titolo, presentano la relativa istanza, per una sola provincia, attraverso le apposite procedure informatizzate, conformemente alle disposizioni di cui alla presente ordinanza e secondo modalità e termini stabiliti con successivo provvedimento della competente direzione generale.

3. Ai fini della costituzione delle GPS di prima e seconda fascia, i punteggi, le posizioni e le eventuali precedenze sono determinati, esclusivamente, sulla base delle dichiarazioni rese dagli aspiranti attraverso le procedure informatizzate di cui al comma 2. I titoli dichiarati dall’aspirante all’inserimento nelle GPS sono valutati se posseduti e conseguiti entro la data di presentazione della domanda di partecipazione”.

Al punto 7 è stabilito che: “LE GPS RELATIVE AI POSTI DI SOSTEGNO, DISTINTE PER I RELATIVI GRADI DI ISTRUZIONE DELLA SCUOLA DELL’INFANZIA, PRIMARIA, SECONDARIA DI PRIMO GRADO, SECONDARIA DI SECONDO GRADO, SONO SUDDIVISE IN FASCE COSÌ DETERMINATE:

a) la prima fascia è costituita dai soggetti in possesso dello specifico titolo di specializzazione sul sostegno nel relativo grado;

b) la seconda fascia è costituita dai soggetti, privi del relativo titolo di specializzazione, che entro l’anno scolastico 2019/2020 abbiano maturato tre annualità di insegnamento su posto di sostegno nel relativo grado e che siano in possesso:

i. per la scuola dell’infanzia e primaria, del relativo titolo di abilitazione o del titolo di accesso alle GPS di seconda fascia del relativo grado;

ii. per la scuola secondaria di primo e secondo grado, dell’abilitazione o del titolo di accesso alle GPS di seconda fascia del relativo grado”.

Ai fini dell’inserimento nelle GPS costituite all’esito di apposita procedura concorsuale, il  titolo di specializzazione sul sostegno, in quanto titolo accademico non abilitante ma specializzante è dunque soggetto alla disciplina del riconoscimento finalizzato di cui all’art. 2 del D.P.R. 189/2009 da leggersi in combinato disposto con l’art. 38 del D. Lgs. 165/2001.

L’Ordinanza 60/2020, dunque, hasì istituito le graduatorie di sostegno di prima fascia ma le ha anche assoggettate alla medesima disciplina prevista per la composizione delle graduatoria di prima fascia su classe di concorso relativa ai soggetti in possesso di apposita specializzazione senza specificare che relativamente all’indicazione dei titoli di rispettivo accesso, ove conseguiti all’estero, dovessero essere state proposte dinanzi organi competenti in ragione delle differenti procedure di riconoscimento da azionare.

La disciplina delle GPS di sostegno, infatti, è distinta da quella delle GPS relative alle altre classi di concorso, nelle quali compaiono i docenti in possesso di specifica abilitazione pertanto la procedura di riconoscimento dei titoli conseguiti all’estero deve essere individuata sulla scorta di tale diversità.

E’ incontestato, infatti, che il TFS sostegno conseguito in Italia non sia un titolo abilitante all’insegnamento e che tali titoli consentano di accedere all’insegnamento del sostegno in attesa del riordino della classi di concorso del sostegno.

E’ altresì certo che solo con la pubblicazione dell’O.M. 60/2020  e la composizione della prima fascia delle GPS sostegno il titolo accademico di specializzazione sul sostegno si sia caricato di una specifica connotazione professionalizzante per la sua precipua capacità di consentire l’accesso all’impiego: più specificamente, è la previsione e la costituzione della prima fascia delle GPS composta da soggetti in possesso del titolo di specializzazione ai quali conferire in via preliminare rispetto ad altri soggetti che invece siano in possesso di una specifica esperienza di insegnamento sul sostegno senza il titolo di specializzazione, a connotare tale titolo accademico di specializzazione di una specifica funzione di accesso all’impiego che impone ai relativi istanti l’obbligo di richiederne il riconoscimento in conformità alle disposizioni di cui all’art. 2 D.P.R. 189/2009.

Il Ministero dell’Istruzione nell’ambito delle procedure finalizzate all’istituzione delle GPS ha precisato per quanto attiene i concorsi per il reclutamento la valutazione del titolo conseguito all’estero come punteggio aggiuntivo è regolata dalle procedure indicate al DPR n. 189/2009 art. 3 comma 1 lett.a) ove si prevede che sia l’amministrazione interessata a inoltrare, fin d’ora, la relativa richiesta corredata della documentazione necessaria.

Gli istanti devono presentare agli USR competenti la documentazione in copia conforme agli originali in aderenza dell’art. 18 del DPR n.445/2000, non potendosi, il candidato, avvalere della dichiarazione sostitutiva di atto notorio per dichiarare la conformità ex art. 19 DPR n 445/2000 trattandosi di documentazione (quella estera) non riscontrabile tramite conferma dall’ente certificatore italiano ai sensi degli artt. 43 e 71 del DPR citato.

Se il titolo è invece rivendicato per l’accesso ad un concorso per il reclutamento, il Ministero necessita del parere scientifico-disciplinare del Consiglio universitario nazionale, circa l’ equivalenza del titolo posseduto dall’aspirante in ordine ai titoli italiani richiesti per partecipare al concorso o selezione come previsti dal bando.

Detto organo si convoca a cadenze fisse per cui non è possibile accelerare la tempistica dipendendo dalla calendarizzazione delle sedute mese per mese.
Nelle more di tali sedute, i candidati sono ammessi con riserva alle prove concorsuali.

PER LE GPS, in corso di integrazione (dal 6 al 21 luglio 2021) se il titolo estero è un titolo ulteriore che attribuisca punteggio aggiuntivo l’istanza dovrà essere sempre inviata al Ministero dell’Istruzione dagli USR o dagli ambiti provinciali.

Viceversa, se detto titolo sia requisito d’ingresso, in tal caso sarà il diretto interessato a presentare domanda in vista della possibile assunzione come supplente.

In tal caso, considerata la complessità del processo volto alla individuazione della classe di laurea (con passaggi interni al Consiglio universitario nazionale), i possessori di tali titoli sono ammessi con riserva in graduatoria, in attesa della valutazione suddetta”.
Consegue, dunque, dalla richiamata ricostruzione della vicenda relativa alle GPS che poiché le stesse sono costituite all’esito di una specifica procedura concorsuale ai fini dell’inserimento in tali graduatorie il titolo specializzante sul sostegno conseguito all’estero deve essere riconosciuto ai sensi dell’art. 2 del D.P.R. 189/2009 e che tale procedura di riconoscimento va prediletta relativamente al titolo di sostegno ogni qualvolta il possessore intende beneficiarne nell’ambito di una specifica procedura concorsuale, ovvero in sede di rinnovazione delle medesima graduatorie, ove le stesse, in quanto non permanenti, siano approvate per un periodo di tempo definito in forza di apposita procedura concorsuale.

La posizione del TAR Lazio e la conseguente indicazione ministeriale del MUR nella nota prot. n. 20446 del 14/07/2021.

Per mezzo della sentenza s n. 4024/2021 del 6/4/2021 la sezione III bis delTar Lazio-Roma nell’ambito dell’impugnativa di un provvedimento di diniego opposto dal Ministero dell’Istruzione relativamente all’istanza di riconoscimento di un titolo di specializzazione sul sostegno conseguito all’estero, e segnatamente in Spagna, proposta ai sensi della direttiva 2013/55/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 novembre 2013, per il riconoscimento del proprio titolo come abilitante nella scuola primaria ha chiarito la distinzione tra riconoscimento del mero percorso di specializzazione, quale titolo di studi, di competenza del Ministero dell’Università e della Ricerca, e riconoscimento dell’abilitazione all’insegnamento di competenza del Ministero dell’Istruzione.

Nella decisione, infatti, il Collegio ha precisato che “la fattispecie non risulterebbe essere sussumibile nell’ambito della normativa europea che regola il riconoscimento professionale tra i Paese membri, quanto piuttosto in quella che contempla la possibilità di riconoscimento di un titolo universitario conseguito in un altro Stato europeo, con conseguente applicazione, in luogo delle prefate direttive europee nn. 2005/36/CE e 2013/55/UE, del Trattato di Lisbona, così come recepito in Italia dalla legge n. 148/2002. Sul punto, occorre evidenziare come il nostro sistema risulti essere ancora culturalmente influenzato dal concetto di “equipollenza”, inteso quale unica soluzione per ottenere il riconoscimento di un titolo universitario conseguito all’estero. Ad onta di tale tradizionale approccio metodologico, tuttavia, al Collegio preme precisare come l’art. 9 del richiamato disposto normativo abbia definitivamente abrogato la precedente procedura unica di equipollenza, dando così la stura ad un sistema di riconoscimento a geometrie variabili, influenzato dal diverso atteggiarsi, in concreto, dell’elemento teleologico. In un contesto di tal fatta, pertanto, il riconoscimento “finalizzato” recepito nel nostro ordinamento postula che sia l’Autorità competente che l’iter procedimentale da seguire siano differenti in relazione ai diversi scopi per cui il riconoscimento del titolo universitario può essere chiesto. Così, laddove il riconoscimento fosse necessario ai soli fini accademici, ad esempio allo scopo di proseguire gli studi in Italia, ai sensi dell’art. 2 della legge n. 148/2002 sarebbero le singole le Università nazionali e le istituzioni AFAM ad essere competenti alla ricezione ed alla valutazione della domanda. Nel diverso caso in cui, invece, il riconoscimento del percorso di studi universitario completato all’estero sia necessario per essere utilizzato quale requisito di accesso a pubblici concorsi, a venire in rilievo sarebbe l’art. 5 della legge n. 148/2002, che effettua un espresso richiamo al regolamento di esecuzione. Quest’ultimo, adottato con d.P.R. n. 189/2009, all’art. 2 segnatamente, da leggersi in combinato disposto con l’art. 38 del d. lgs. n. 165/2001 (T.U.P.I.), radica la competenza in capo alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della Funzione Pubblica. Nell’ancora differente ipotesi in cui il riconoscimento del titolo universitario in questione fosse prodromico non già all’accesso al pubblico concorso ma soltanto ai fini dell’attribuzione del punteggio nella valutazione dei titoli dei candidati, la competenza sarebbe stavolta devoluta, ai sensi dell’art. 3 del richiamato d.P.R. n. 189/2009, al Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca. Quest’ultima norma, peraltro, non può non essere letta alla luce della sopravvenienza normativa rappresentata dal d.l. n. 1/2020, convertito con modificazioni dalla legge n. 12/2020, con cui è stata disposta la soppressione del M.I.U.R. e la contestuale costituzione del Ministero dell’Istruzione e del Ministero dell’Università e della Ricerca, dovendosi pertanto fare riferimento a quest’ultimo in tema di riconoscimento di titoli universitari conseguiti all’estero, in quanto ormai distinto e separato ramo della pubblica amministrazione, con legittimazione, poteri e funzioni sue proprie in materia di università e ricerca.”

Da ultimo, per mezzo della nota prot. n. 20446 del 14/07/2021 la Direzione generale degli ordinamenti della formazione superiore e del diritto allo studio del Ministero dell’Università e della Ricerca, in ottemperanza a quanto specificamente chiarito dal Tar Lazio nella sentenza ha specificato e chiarito che il predetto Ufficio si occupa solo di riconoscimenti ex art. 2 legge n.148/2002 ed ex art. 38  decreto legislativo n. 165/2001 oltre ai casi previsti dagli artt. 3 e 4 D.P.R. n. 189/2009, dall’art. 12 legge n. 26/2006 in via generale dall’art. 48 del DPR n. 394/1999, finalizzati alle assunzioni nel pubblico impiego o al conferimento di incarichi o di benefici con titoli che siano requisiti di accesso all’impiego (non abilitanti) o con titoli che siano aggiuntivi (non abilitanti), oltre a quelli di accesso, per conseguire punteggio.

Ne consegue che a tale Ufficio devono essere proposte le istanze di riconoscimento del titolo di specializzazione per l’insegnamento del sostegno.

Avv. Anna Chiara Vimborsati

Foro di Taranto