I dipendenti pubblici hanno ancora diritto al trattenimento in servizio fino a 70 anni se, alla data del raggiungimento del limite massimo di età ai fini del pensionamento, non hanno ancora maturato i 20 anni di contribuzione necessari a maturare il minimo della pensione. Il diritto al trattenimento in servizio non sussiste, invece, nel caso in cui il dipendente abbia maturato i requisiti per andare in pensione e abbia manifestato la propria volontà di rimanere in servizio altri due anni. In quest’ultimo caso, infatti, si tratta di una mera dichiarazione di disponibilità del dipendente. E la decisione finale spetta in via esclusiva all’Amministrazione. Sono questi i principi enunciati dalla sezione lavoro della Corte di Cassazione con due sentenze pubblicate il 7 settembre scorso (24081/2021 e 24080/2021).
Il primo caso riguardava la direttrice di un’Accademia di belle arti, che era stata posta in quiescenza d’ufficio pur non avendo maturato i 20 anni di contribuzione per ottenere la pensione minima. L’interessata aveva presentato domanda di trattenimento in servizio, ma l’istanza non era stata accolta. E quindi si era risolta ad esperire l’azione giudiziale. Dopo avere perso sia in I grado che in appello, aveva impugnato la sentenza della Corte di appello davanti alla Cassazione. E i Giudici di legittimità le hanno dato ragione. La Sezione ha spiegato che la norma sul diritto al trattenimento in servizio è stata modificata nel senso che il trattenimento ormai non è più un diritto. Ma ciò vale per il trattenimento in senso lato e non per l’ipotesi in cui l’interessato non abbia maturato i requisiti minimi di contribuzione. In questo caso la normativa non ha subito alcun mutamento rispetto al passato. Il ragionamento seguito dalla Cassazione si fonda sulla constatazione che l’art. 1 del decreto-legge 90/2014 ha abrogato l’articolo 16 del decreto legislativo 503/1992: la norma che attribuiva ai dipendenti pubblici il diritto al trattenimento in servizio in senso lato. Ma l’abrogazione riguarda solo il trattenimento tout court. Il trattenimento per maturare i 20 anni di contributi, invece, non è compreso in tale abrogazione. Perché è regolato da altre norme che non sono state toccate dall’intervento abrogativo. Ciò comporta che siano da considerarsi ancora in vigore le disposizioni contenute nel comma 3, dell’articolo 509, del decreto legislativo 297/94, volte “a salvaguardare la specifica situazione di chi necessiti del trattenimento al fine di raggiungere il numero di anni richiesto per ottenere il riconoscimento del minimo della pensione”. Di qui l’accoglimento del ricorso e la cassazione con rinvio della sentenza negativa della Corte d’appello (si veda la sentenza 24081/2021).
Con la sentenza 24080 la Cassazione ha analizzato, invece, il caso di un dirigente scolastico che, pur avendo maturato i requisiti per la pensione, aveva chiesto il trattenimento in servizio. E dopo il niet dell’amministrazione aveva impugnato il rigetto. In I grado il dirigente si era visto accogliere il ricorso. Ma la Corte d’appello aveva capovolto la situazione. Di qui il ricorso per cassazione. Che però è terminato con la conferma della sentenza della Corte d’appello e la condanna a 5mila euro di spese. I Giudici di legittimità hanno spiegato che l’abrogazione delle norme sul diritto al trattenimento ha cancellato la facoltà di pretendere di rimanere in servizio oltre il decorso del termine ai fini della pensione di vecchiaia. Mentre prima della riforma tale diritto era nella disponibilità degli interessati, adesso sussiste solo se non abbiano maturato i 20 anni di contribuzione per la pensione minima. In tutti gli altri casi si configura solo alla stregua di mera facoltà del dipendente di manifestare all’Amministrazione la disponibilità di permanere in servizio. Fermo restando che la decisione spetta in via esclusiva all’Amministrazione di appartenenza. Che peraltro non ha facoltà di decidere senza vincoli: la disposizione del trattenimento, infatti, può essere adottata solo a condizione che ricorrano «esigenze organizzative e funzionali» e che sussista una «particolare esperienza professionale acquisita dal dipendente in determinati o specifici ambiti ed in funzione dell’efficiente andamento dei servizi». In altre parole: il trattenimento si può disporre solo se è necessario e solo se la professionalità del soggetto da trattenere in servizio sia insostituibile. E in ogni caso è da escludere «la configurabilità di un diritto soggettivo del dipendente, in relazione alle richieste presentate in epoca successiva all’entrata in vigore del decreto legge n. 112 del 2008». Che è il decreto con il quale è stato modificato l’istituto del trattenimento in servizio. La ratio delle nuove disposizioni, infatti, da una parte è quella di agevolare “il processo di riduzione degli assetti organizzativi delle pubbliche amministrazioni”. E dall’altra parte è quella di favorire il ricambio generazionale. In sintesi: ridurre il numero dei dirigenti e assumerne di più giovani. La Suprema corte ha dichiarato infondata la richiesta del ricorrente di ottenere la condanna alle spese dell’amministrazione in II grado. Il dirigente, infatti, pur avendo perso la causa, aveva lamentato che la Corte d’appello avesse compensato le spese. Fatto questo, che corrisponde ad una situazione di vantaggio per la parte soccombente che, di norma, deve essere condannata anche al pagamento delle spese della controparte. A questo proposito, la Cassazione ha spiegato al ricorrente che la Corte d’appello “in suo favore più non poteva fare se non disporre, come ha fatto, la compensazione delle spese”.