Di Francesco Orecchioni
Corte d’Appello L’Aquila, n.28/2023, relatore De Cesare.
Disciplina contrattuale delle assenze per malattia del personale assunto a tempo determinato. Disparità di trattamento rispetto alla disciplina delle assenze per malattia del personale assunto a tempo indeterminato. Sussiste. Contrasto col principio di non discriminazione di cui alla clausola 4 dall’Accordo Quadro CES, UNICE e CEEP allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio dell’Unione Europea del 28 giugno 1999. Sussistenza. Esclusione.
Tribunale di Grosseto, n. 23/2023, Dott. Grosso.
Disciplina contrattuale delle assenze per malattia del personale assunto a tempo determinato. Disparità di trattamento rispetto alla disciplina delle assenze per malattia del personale assunto a tempo indeterminato. Sussiste. Assenze per malattia dovute a gravi patologie. Diritto al pagamento integrale della retribuzione. Fondatezza.
La disciplina contrattuale delle assenze del personale scolastico
Com’è noto, il CCNL di comparto del personale scuola disciplina il sistema delle assenze per malattia in maniera differenziata per il personale assunto con contratto a tempo determinato rispetto al personale assunto con contratto a tempo indeterminato.
Per quest’ultimo personale è previsto- in caso di malattia- il seguente trattamento economico:
a) intera retribuzione per i primi nove mesi di assenza;
b) 90% della retribuzione per i successivi 3 mesi;
c) 50% della retribuzione per ulteriori 6 mesi.
Si precisa che sono comunque esclusi dal computo delle assenze di malattia – oltre ai giorni di ricovero ospedaliero o di day hospital- anche quelli dovuti alle conseguenze temporaneamente e/o parzialmente invalidanti causate da terapie “salvavita”, ovvero per “gravi patologie”[1].
Il personale con contratto a tempo determinato – sempre che sia stato assunto per una supplenza annuale o fino al termine delle attività didattiche- ha invece diritto alla retribuzione per intero solo per il primo mese di assenza; nel secondo e terzo mese, la retribuzione e viene ridotta al 50%
Trascorso tale periodo, il personale precario avrà diritto esclusivamente alla conservazione del posto senza assegni, per un periodo complessivo di 9 mesi in un triennio[2].
Non c’è chi non colga la palese disparità di trattamento prevista per le due tipologie contrattuali, disparità di trattamento che sembra confliggere con la normativa euronitaria in tema di contratto a tempo determinato.
Finora però la questione non è stata adeguatamente affrontata in sede giudiziaria, in quanto raramente – in un rapporto di lavoro di alcuni mesi – si superano di molto i tre mesi di malattia.
La pandemia e i lavoratori fragili
L’emergenza Covid e la necessità di tutela dei cosiddetti “lavoratori fragili” ha avuto come conseguenza l’allontanamento dal lavoro di tanti dipendenti, posti in “malattia d’ufficio” per l’intero anno scolastico, rendendo così più cogente la necessità di ripensare il trattamento economico di malattia per il personale assunto con contratto a tempo determinato.
Chi sono i lavoratori fragili?
L’art. 26, comma 2, del Decreto “Cura Italia”[3] parla di “lavoratori dipendenti pubblici e privati in possesso di certificazione rilasciata dai competenti organi medico-legali, attestante una condizione di rischio derivante da immunodepressione o da esiti da patologie oncologiche o dallo svolgimento di relative terapie salvavita, ivi inclusi i lavoratori in possesso del riconoscimento di disabilità con connotazione di gravità”.
Si ricorderà che all’epoca della pubblicazione del Decreto “Cura Italia” (17 marzo 2020), i vaccini non erano ancora disponibili, per cui la principale forma di prevenzione fu quella di cercare di limitare il più possibile le possibilità di contagio.
Secondo il comma 2-bis, successivamente aggiunto al citato art. 26, “A decorrere dal 16 ottobre 2020 e fino al 31 ottobre 2021, i lavoratori fragili di cui al comma 2 svolgono di norma la prestazione lavorativa in modalita’ agile, anche attraverso l’adibizione a diversa mansione ricompresa nella medesima categoria o area di inquadramento, come definite dai contratti collettivi vigenti, o lo svolgimento di specifiche attivita’ di formazione professionale anche da remoto”.
In mancanza- ovvero qualora “la prestazione lavorativa non possa essere resa in modalità agile”-, “il periodo di assenza dal servizio e’ equiparato al ricovero ospedaliero”.
Inoltre, “i periodi di assenza dal servizio non sono computabili ai fini del periodo di comporto[4]”.
La questione della certificazione della fragilità
Una breve precisazione in ordine alla certificazione della condizione di fragilità.
Il citato art. 26, comma 2 del d.l. n.18/2020, indica – quale condizione per il riconoscimento della “fragilità” – una certificazione rilasciata dai competenti organi medico-legali.
Tale certificazione deve attestare “una condizione di rischio”, derivante da:
a) immunodepressione;
b) esiti da patologie oncologiche;
c) svolgimento delle relative terapie salvavita.
Sono inoltre inclusi nella categoria dei lavoratori fragili “i lavoratori in possesso del riconoscimento di disabilita’ con connotazione di gravita’ ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104”.
Va comunque precisato che il diritto all’assenza equiparata a ricovero ospedaliero contenuto nell’articolo 26 del decreto Cura Italia non è estensibile all’intera platea dei “lavoratori fragili”, ma solo a coloro che siano in possesso di “certificazione rilasciata dai competenti organi medico legali, attestante una condizione di rischio derivante da immunodepressione o da esiti di patologie oncologiche o dallo svolgimento di relative terapie salvavita”, ivi inclusi i lavoratori in possesso del riconoscimento di disabilità con connotazione di gravità.
La normativa europea
Com’è noto, il principio di non discriminazione è sancito dall’Accordo Quadro CES, UNICE e CEEP allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio dell’Unione Europea del 28 giugno 1999.
Si riproduce il testo della Clausola 4.
“Principio di non discriminazione.
1. Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive.
2. Se del caso, si applicherà il principio del pro rata temporis.
3. Le disposizioni per l’applicazione di questa clausola saranno definite dagli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali e/o dalle parti sociali stesse, viste le norme comunitarie e nazionali, i contratti collettivi e la prassi nazionali.
4. I criteri del periodo di anzianità di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro dovranno essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli a tempo indeterminato, eccetto quando criteri diversi in materia di periodo di anzianità siano giustificati da motivazioni oggettive”.
Sia la giurisprudenza delle Corti Europee, sia quella di legittimità hanno ritenuto direttamente applicabili dal Giudice nazionale le prescrizioni contenute in detta Direttiva.
La CGUE ha chiarito (sentenza “Gavieiro Gavieiro” del 22 dicembre 2010 -proc. n. C-444/09 e C-456-09) che la clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato è incondizionata e sufficientemente precisa da poter essere invocata nei confronti dello Stato da dipendenti pubblici temporanei dinanzi ad un giudice nazionale.
Inoltre, la stessa Corte di Giustizia Europea ha da tempo sancito – con sentenza n. 11 del 13 settembre 2007 (causa n. 307/2005 Del Cerro) – che il servizio reso con contratti a tempo determinato dev’essere equiparato a quello prestato con contratto a tempo indeterminato, ritenendo che la clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato del 18 marzo 1999, vieti la disparità di trattamento tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato, ancorché la medesima sia prevista da disposizioni legislative, regolamentari di uno stato membro o da contratti collettivi.
In ordine all’insussistenza di ragioni oggettive idonee a giustificare un trattamento deteriore nei confronti dei docenti precari, del resto, la Corte di Cassazione si è più volte pronunciata, sempre escludendo la sussistenza di tali ragioni (ad esempio nel caso della progressione di carriera- Cass. n. 22558/2016-, nel caso della ricostruzione di carriera – Cass. n. 31150/2019-, nel caso del riconoscimento del gradone stipendiale “da 3 a 8” – Cass. n. 2924/2020-, nel caso del riconoscimento del diritto alla “retribuzione professionale Docenti” in favore dei docenti assunti con “supplenze brevi” – Cass. n. 6923/2020; ancora più recentemente, vedasi la pronunciadella CGUE nella causa C‑450/21, in ordine alla (non) compatibilità con la citata clausola 4, nonché con i principi generali di parità di trattamento e di non discriminazione, della disciplina nazionale che esclude il personale docente precario dal beneficio della c.d. “carta docenti”[5]).
La sentenza della Corte d’Appello di L’Aquila
Chiamata a pronunciarsi sulla compatibilità della normativa pattizia in materia di assenze per malattia, con riguardo al caso di una lavoratrice fragile collocata in “malattia d’ufficio” per l’intero anno scolastico con conseguente privazione della retribuzione, la Corte d’Appello ha escluso l’incompatibilità della normativa nazionale col principio di non discriminazione.
“Tali previsioni sono pienamente legittime e non discriminatorie, trattandosi di differenziazione correlata alla stessa natura, stabile o temporanea, del rapporto di lavoro”.
“La diversità di trattamento può essere giustificata solo da elementi precisi e concreti di differenziazione che contraddistinguano le modalità di lavoro e che attengano alla natura e alle caratteristiche delle mansioni espletate e può quindi dipendere anche dalla stessa natura temporanea del rapporto di lavoro, in presenza di ragioni oggettive da rinvenirsi in base a valutazioni di compatibilità con la natura temporanea del rapporto di lavoro a tempo determinato del trattamento attribuito al lavoratore a tempo indeterminato comparabile (cfr. Cass. Sez. L. nn. 6717 del 10/03/2021 rv. 660842 – 01 e 715 del 15/01/2020 rv. 656482 – 01)” (…).
“Per i medesimi motivi, ed in particolare con riferimento al parametro della quantità di lavoro di cui all’art. 36 Cost., è quindi pienamente giustificata una differenziazione dei trattamenti di malattia in base alla durata del rapporto di lavoro, quale quella operata dalle disposizioni di legge e contrattazione collettiva sopra richiamate, che legittimamente rapportano l’entità della deroga al principio di corrispettività del rapporto di lavoro in funzione di protezione del lavoratore, e quindi la durata dei trattamenti di malattia, alla durata del rapporto di lavoro, prevedendone una riduzione in caso di rapporti a tempo determinato”.
Tali argomentazioni non appaiono convincenti.
Va innanzi tutto precisato che la sentenza Cass. n. 6717/2021 richiamata in motivazione,in realtà afferma:“nel pubblico impiego privatizzato la non discriminazione del dipendente a termine sotto il profilo del trattamento economico va verificata rispetto al trattamento economico legittimamente riconosciuto dalla Amministrazione datrice di lavoro ai dipendenti di ruolo in applicazione del contratto collettivo del comparto di appartenenza”.
Lo stesso dicasi per la sentenza Cass. n. 715/2020 che afferma: “il compenso incentivante di cui all’art. 32 del c.c.n.l. Enti Pubblici non Economici 1999-2001, legato al raggiungimento di determinati e specifici obbiettivi, non è incompatibile con la natura determinata del rapporto di lavoro, sicchè la mancata corresponsione anche ai dipendenti a tempo determinato della Croce Rossa Italiana si pone in contrasto con la disciplina contrattuale di settore e, data l’assenza di ragioni oggettive che giustifichino il trattamento differenziato, con il divieto di discriminazione tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato sancito dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 6 in attuazione della clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato oggetto della direttiva n. 99/70/CEE. (Cass. 2756/2017, 107460/2017, 4990/2017, 196/2016, 26007/2015, 25552/2015)”.
Come si vede, a sostegno della decisione sono state poste delle decisioni che affermano in realtà il principio contrario.
Né d’altra parte lo scrutinio in ordine alla discriminatorietà di una disposizione contrattuale può fondarsi sulla “natura, stabile o temporanea, del rapporto di lavoro”.
Giustificare la disparità di trattamento tra lavoratori “fissi” e lavoratori temporanei sulla base della natura temporanea del rapporto di lavoro, significaignoraredel tutto il dibattito giurisprudenziale in ordine al principio di non discriminazione sviluppatosi in questi anni, in particolar modo nel settore scolastico, scardinando apoditticamente i principi affermati dalla Corte di Giustizia e da quella di legittimità.
Come si è visto, è la stessa clausola 4 del citato accordo a recitare: “Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato.
“Il semplice fatto che il lavoratore abbia compiuto i suddetti periodi di servizio sulla base di un contratto di lavoro a tempo determinato non configura una ragione oggettiva di tale genere”(Corte di Giustizia 18.10.2012, in cause riunite da C-302/11 a C- 305/11, Valenza e, negli stessi termini Corte di Giustizia 4.9.2014 in causa C-152/14 Bertazzi)”[6].
In buona sostanza, la Corte ha ritenuto legittimo il trattamento discriminatorio del lavoratore temporaneo, in virtù della temporaneità della prestazione….[7]
La pronuncia del Tribunale di Grosseto
Il caso affrontato dal Tribunale di Grosseto si riferisce ad una docente invalida al 100%, che -proprio a causa delle sue condizioni-era stata costretta ad affrontare vari interventi chirurgici con ricoveri ospedalieri intervallati da brevi periodi di convalescenza, che l’avevano inevitabilmente portata a superare il periodo per il quale si ha diritto all’intera retribuzione.
In questo caso, il Giudice ha ritenuto applicabile la disposizione di cui al combinato disposto tra art.19, comma 15 e art. 17, comma 9 del CCNL 2006/09, senza pronunciarsi in ordine al lamentato contrasto tra normativa pattizia e principio di non discriminazione, non necessitando – nel caso in specie – la disapplicazione della normativa nazionale.
Recita infatti l’art. 17, comma 9: “In caso di gravi patologie che richiedano terapie temporaneamente e/o parzialmente invalidanti sono esclusi dal computo dei giorni di assenza per malattia, di cui ai commi 1 e 8 del presente articolo, oltre ai giorni di ricovero ospedaliero o di day hospital anche quelli dovute alle conseguenze certificate delle terapie. Pertanto per i giorni anzidetti di assenza spetta l’intera retribuzione”.
A sua volta, l’art. 19, comma 15 prevede espressamente l’applicazione delle disposizioni relative alle gravi patologie “di cui all’art.17, comma 9”.
Il dibattito sulla compatibilità della normativa pattizia in subiecta materia con i richiamati principi di non discriminazione di cui alla clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro europeo sul lavoro a tempo determinato resta aperto.
[1] Cfr. art. 17, CCNL di comparto 2006/2009.
[2] Cfr. art. 19, comma 2 e ss. CCNL di comparto 2006/2009.
[3] Trattasi del d.l. n. 18 /2020, convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27 – Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19.
[4] Cfr. art.26, comma 2, d.l. cit.
[5] Cfr. CGUE, Sesta Sezione, Ordinanza 18 maggio 2022.
[6] Corte di Cassazione, n. 31150/2019, punto 8.1, lett. e).
[7] Sarebbe un po’ come giustificare una disparità di trattamento per motivi religiosi sulla base del fatto che il soggetto discriminato professa un’altra religione.