Di Francesco Orecchioni
Corte di Giustizia Europea, causa C – 270/22, sentenza del 30.11.2023.
Contrasto tra normativa nazionale sul riconoscimento dell’anzianità di servizio del personale precario della scuola e la clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato (Direttiva 1999/70/CE). Sussistenza.
Riconoscimento del servizio sulla base della durata del rapporto di lavoro, senza considerare la quantità di lavoro prestata. Rinvenibilità di una “discriminazione alla rovescia”. Esclusione.
Il Tribunale di Ravenna aveva sollevato dubbi sull’interpretazione della normativa relativa alla ricostruzione di carriera del personale docente, chiedendo se fosse possibile individuare una sorta di “discriminazione alla rovescia” a favore dei docenti precari, per il fatto di aver svolto attività di supplenza non su un’intera cattedra, ma su un cosiddetto “spezzone”.
La “Sentenza Motter” del 20 settembre 2018 (Causa C-466/17) aveva infatti ritenuto la normativa nazionale sulla ricostruzione di carriera del personale docente -nella parte in cui non riconosce il servizio effettivo svolto – in contrasto col principio di non discriminazione.
Tuttavia secondo la Corte di Giustizia occorre considerare anche la peculiarità della disciplina interna (che parifica al servizio annuale quello prestato fino al termine delle lezioni e quello svolto per almeno 180 giorni).
In questo quadro, la ricostruzione di carriera sulla base del “servizio effettivo” dovrà tener conto anche del fatto che nei decreti di ricostruzione della carriera i docenti precari avevano già ottenuto una sorta di bonus, da “detrarre” alla penalizzazione di un terzo relativa ai servizi prestati oltre il quarto anno (art. 485- D. Lgs. n. 297/1994).
Com’è noto, sulla questione, si era pronunciata anche la Corte di Cassazione, che -con sentenza n. 31149/2019- aveva dettato una sorta di “decalogo” in ordine ai criteri per operare tale riconoscimento.
In questo quadro, il Giudice del lavoro del Tribunale di Ravenna chiedeva alla Corte di pronunciarsi in ordine al fatto che – con tale interpretazione- si andavano a valorizzare le supplenze brevi, equiparandole a quelle di lungo periodo “che implicano una continuità didattica”, quando le supplenze brevi non consentirebbero di maturare un’esperienza analoga.
Inoltre, il Tribunale di Ravenna si chiedeva se all’atto della ricostruzione di carriera fosse corretto considerare allo stesso modo il servizio reso su cattedra intera e quello reso su una porzione di cattedra (il cosiddetto “spezzone”), ritenendo forse più equo calcolare detto servizio col meccanismo del pro rata temporis.
La Corte – premesso che la situazione dei docenti assunti con contratto a tempo determinato è pienamente comparabile con quella dei docenti assunti in ruolo, esercitando questi le stesse identiche mansioni dei colleghi di ruolo – ha osservato che “non vi è nulla che indichi” che “il carattere breve e discontinuo” di alcuni incarichi sia tale “da modificare sostanzialmente le mansioni esercitate”, né sussiste alcun elemento idoneo a dimostrare che ciò avrebbe “l’effetto di escludere l’esperienza in tal modo maturata”.
Venendo al merito della questione, la Corte ha ricordato che l’anzianità dei docenti con contratto a tempo indeterminato “non appare dipendere dalla quantità di lavoro effettivamente prestata” [v. il caso del dipendente in part-tme- N.d. R.], quanto piuttosto dalla duratadel rapporto di lavoro.
Le implicazioni della decisione. In particolare, il possibile contrasto con quanto ritenuto da Cassazione n. 29961/2023
Se ad una lettura frettolosa della pronuncia, sembrerebbe che la CGUE nulla abbia aggiunto rispetto a quanto affermato con la citata “sentenza Motter”, non di meno la decisione in commento appare in (parziale) contrasto con quanto recentissimamente affermato dalla Cassazione con sentenza n. 29961/2023.
Com’è noto a tutti gli operatori di diritto scolastico, con quest’ultima pronuncia la Corte di Cassazione – nel ribadire il diritto alla fruizione del bonus per la “carta docenti” anche a favore dei docenti precari- ha affermato che tale diritto spetta anche ai docenti assegnatari di supplenza annuale o fino al termine delle attività didattiche (30 giugno).
La Corte ha ritenuto che il suddetto beneficio si sostanzi in un bonus annuale “per anno scolastico”.
In questo quadro, si è posta il problema di individuare le tipologie di supplenze da considerare equipollenti o comunque sufficienti per l’erogazione di detto beneficio, ritenendo equo estendere il bonus alle tipologie di supplenze sopra menzionate, pur non escludendo – in linea di principio- il caso di “supplenze temporanee che coprano un lasso temporale pari o superiore a quello che (..) , giustifica il pieno riconoscimento della Carta Docente in caso di supplenze ai sensi dell’art. 4, co. 1 e 2, L. 124/1999”.
Per quanto riguarda le cosiddette “supplenze brevi”, la Corte ha esplicitamente deciso di non pronunciarsi; in sostanza, non è chiaro se in questi casi “non spetti nulla oppure si applichi una regola pro rata temporis” (art. 4, punto 2, dell’Accordo Quadro), tale da ricalibrare la misura del beneficio in ragione del ridursi dei periodi di insegnamento e dell’incidenza di esso sulla didattica” (Corte di Cass., sentenza it.).
Ugualmente fuori dal giudizio è rimasta la questione sulla rilevanza delle “ore” svolte.
A questo proposito, l’affermazione della CGUE sull’irrilevanza della “quantità di lavoro effettivamente prestata” (ponendo piuttosto l’accento sulla durata del rapporto di lavoro) dovrebbe consentire al Giudice nazionale di riconoscere senza problemi la carta docenti anche nel caso di supplenza su uno spezzone.
La questione delle supplenze “brevi”
Resta aperta la questione delle cosiddette “supplenze brevi” o temporanee.
E’ opportuno precisare che la normativa nazionale considera supplenze temporanee anche quelle rese fino al termine delle attività didattiche (nonchè quelle fino al termine delle lezioni).
Com’è noto a tutti gli operatori del mondo della scuola, accade sovente che un supplente assunto per sostituire una docente in maternità finisca per lavorare – di proroga in proroga- fino alla chiusura della scuola.
Appare evidente come in casi del genere sia arduo escludere la “natura annuale” della supplenza, benché formalmente si sia trattato di una supplenza “temporanea”, niente affatto “breve”.
Il problema dell’individuazione del “lavoratore comparabile”. Il caso del docente in part time
Ancora più stridente il contrasto tra le pronunce emerge in ordine al raffronto col lavoro part time del docente di ruolo.
Secondo la Cassazione, “la connessione dell’attribuzione della Carta ad una didattica annua verrebbe ingiustificatamente alterata se ad individuare i presupposti per il godimento del beneficio bastasse una mera sommatoria di giorni numericamente pari a quelli che un certo docente, con particolari condizioni di lavoro quali il part time, deve svolgere o se addirittura il raffronto andasse verso chi non svolge al momento attività didattica o se ancora dovesse valorizzarsi, al fine di estendere a tutti il beneficio, il fatto che un docente di ruolo occasionalmente inizi a prestare servizio ad anno scolastico in corso”.
Il contrasto delle Corti sul punto è di tutta evidenza:
In sostanza, la Corte di Cassazione esclude categoricamente di poter effettuare un raffronto (quale lavoratore comparabile) con i docenti di ruolo in part time, mentre la CGUE opera proprio tale confronto, seppure con riferimento alla ricostruzione di carriera.
Il problema che ha dunque di fronte l’interprete è questo: al di là della questione specifica, il dipendente di ruolo con contratto di lavoro part time è “comparabile”?
Il raffronto tra le due situazioni (lavoratore part time a tempo verticale e supplente temporaneo) è ammissibile oppure no?
Considerando che la sentenza della CGUE è successiva a quella della Cassazione, nell’ottica di un dialogo tra le Corti non è da escludere che la pronuncia della CGUE possa preludere ad un ripensamento e a un approfondimento della questione da parte della Cassazione.