Note a commento di Tar Lazio-Roma, III bis. sent. n.4024 del 6.04.2021 di Anna Chiara Vimborsati.
La pronuncia in commento più che per gli effetti del suo dispositivo risulta di particolare interesse per il fatto che il Collegio amministrativo, dando atto di confermare un orientamento già espresso in altre simili e recentissime pronunce, elabora una sistematica ricognizione dei differenti procedimenti amministrativi previsti dall’ordinamento giuridico italiano, in conformità a specifiche disposizioni di natura sovranazionale, internazionale e comunitaria, per il riconoscimento dei titoli conseguiti all’estero in relazione alla effettiva finalità che mediante il titolo riconosciuto il cittadino italiano intenda conseguire.
La pronuncia, infatti, è originata dall’impugnativa di un provvedimento di diniego opposto dal Ministero dell’Istruzione relativamente all’istanza di riconoscimento di un titolo di specializzazione sul sostegno conseguito all’estero, e segnatamente in Spagna, proposta ai sensi della direttiva 2013/55/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 novembre 2013, per il riconoscimento del proprio titolo come abilitante nella scuola primaria ha chiarito la distinzione tra riconoscimento del mero percorso di specializzazione, quale titolo di studi, di competenza del Ministero dell’Università e della Ricerca, e riconoscimento dell’abilitazione all’insegnamento di competenza del Ministero dell’Istruzione.
LA DECISIONE
Nella decisione, infatti, il Collegio ha precisato che “la fattispecie non risulterebbe essere sussumibile nell’ambito della normativa europea che regola il riconoscimento professionale tra i Paese membri, quanto piuttosto in quella che contempla la possibilità di riconoscimento di un titolo universitario conseguito in un altro Stato europeo, con conseguente applicazione, in luogo delle prefate direttive europee nn. 2005/36/CE e 2013/55/UE, del Trattato di Lisbona, così come recepito in Italia dalla legge n. 148/2002. Sul punto, occorre evidenziare come il nostro sistema risulti essere ancora culturalmente influenzato dal concetto di “equipollenza”, inteso quale unica soluzione per ottenere il riconoscimento di un titolo universitario conseguito all’estero. Ad onta di tale tradizionale approccio metodologico, tuttavia, al Collegio preme precisare come l’art. 9 del richiamato disposto normativo abbia definitivamente abrogato la precedente procedura unica di equipollenza, dando così la stura ad un sistema di riconoscimento a geometrie variabili, influenzato dal diverso atteggiarsi, in concreto, dell’elemento teleologico. In un contesto di tal fatta, pertanto, il riconoscimento “finalizzato” recepito nel nostro ordinamento postula che sia l’Autorità competente che l’iter procedimentale da seguire siano differenti in relazione ai diversi scopi per cui il riconoscimento del titolo universitario può essere chiesto. Così, laddove il riconoscimento fosse necessario ai soli fini accademici, ad esempio allo scopo di proseguire gli studi in Italia, ai sensi dell’art. 2 della legge n. 148/2002 sarebbero le singole le Università nazionali e le istituzioni AFAM ad essere competenti alla ricezione ed alla valutazione della domanda. Nel diverso caso in cui, invece, il riconoscimento del percorso di studi universitario completato all’estero sia necessario per essere utilizzato quale requisito di accesso a pubblici concorsi, a venire in rilievo sarebbe l’art. 5 della legge n. 148/2002, che effettua un espresso richiamo al regolamento di esecuzione. Quest’ultimo, adottato con d.P.R. n. 189/2009, all’art. 2 segnatamente, da leggersi in combinato disposto con l’art. 38 del d. lgs. n. 165/2001 (T.U.P.I.), radica la competenza in capo alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della Funzione Pubblica. Nell’ancora differente ipotesi in cui il riconoscimento del titolo universitario in questione fosse prodromico non già all’accesso al pubblico concorso ma soltanto ai fini dell’attribuzione del punteggio nella valutazione dei titoli dei candidati, la competenza sarebbe stavolta devoluta, ai sensi dell’art. 3 del richiamato d.P.R. n. 189/2009, al Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca. Quest’ultima norma, peraltro, non può non essere letta alla luce della sopravvenienza normativa rappresentata dal d.l. n. 1/2020, convertito con modificazioni dalla legge n. 12/2020, con cui è stata disposta la soppressione del M.I.U.R. e la contestuale costituzione del Ministero dell’Istruzione e del Ministero dell’Università e della Ricerca, dovendosi pertanto fare riferimento a quest’ultimo in tema di riconoscimento di titoli universitari conseguiti all’estero, in quanto ormai distinto e separato ramo della pubblica amministrazione, con legittimazione, poteri e funzioni sue proprie in materia di università e ricerca.”
LE PROCEDURE DI RICONOSCIMENTO
Nell’ordinamento giuridico italiano le procedure di riconoscimento dei titoli conseguiti all’estero si distinguono a seconda che riguardino le qualifiche professionali ovvero i titoli accademici e queste ultime si differenziano a seconda che siano finalizzate ad un riconoscimento accademico o non accademico e in relazione ad un medesimo titolo deve distinguersi l’ipotesi in cui il riconoscimento sia finalizzato alla partecipazione ad una specifica procedura concorsale, dalle ipotesi in cui sia invece finalizzato a conseguire l’attribuzione di punteggio per la definizione della graduatoria definitiva in caso di pubblici concorsi e progressione interna dei pubblici dipendenti, ad accedere al praticantato o al tirocinio post laurea, all’iscrizione presso i centri per l’impiego ovvero ancora a rivendicare la reversibilità pensione al superstite che studia all’estero o a riscattare gli anni di laurea o partecipare a selezioni per l’assegnazione di borse di studio e altri benefici (erogati o riconosciuti dalle pubbliche amministrazioni) o, infine, a conseguire la specifica qualifica di cooperante o volontario (legge 49 del 1987).
Il riconoscimento finalizzato comporta una comparazione tra il tipo di titolo e il livello di studio conseguito all’estero (ad es. titolo accademico, preaccademico, non accademico, di primo, secondo o terzo livello) e il medesimo tipo e livello di un titolo italiano richiesto a un determinato scopo.
- Il riconoscimento delle qualifiche professionali.
Il decreto legislativo n. 206 del 2007 disciplina l’attuazione della direttiva 2005/ 36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, nonché della direttiva 2006/100/CE, che adegua determinate direttive sulla libera circolazione delle persone a seguito dell’adesione di Bulgaria e Romania.
Per quanto riguarda il riconoscimento dei titoli per l’esercizio della professione docente, la normativa prevede che il riconoscimento possa essere richiesto «per gli insegnamenti per i quali l’interessato sia legalmente abilitato nel Paese che ha rilasciato il titolo ed a condizione che tali insegnamenti trovino corrispondenza nell’ordinamento scolastico italiano».
Il Ministero dell’istruzione valuta l’accoglimento o meno dell’istanza di riconoscimento dopo aver verificato la corrispondenza e la correttezza del percorso di formazione frequentato in altro Stato.
La direttiva 2005/36/CE riconosce in modo chiaro e incondizionato l’obbligo incombente sugli Stati membri in materia di reciproco riconoscimento dei titoli di studio acquisiti nei paesi dell’UE.
Dispone infatti che (10) “la presente direttiva non esclude la possibilità per gli Stati membri di riconoscere, secondo la propria regolamentazione, qualifiche professionali acquisite da un cittadino di un paese terzo al di fuori del territorio dell’Unione europea. In ogni caso il riconoscimento dovrebbe avvenire nel rispetto delle condizioni minime di formazione per talune professioni”.
Ed ancora che (14) “Il meccanismo di riconoscimento stabilito dalle direttive 89/48/CEE e 92/51/CEE rimane immutato. Di conseguenza, il titolare di un diploma che certifichi il compimento di un corso di formazione a livello post secondario di una durata di almeno un anno dovrebbe avere accesso a una professione regolamentata in uno Stato membro in cui l’accesso è subordinato al possesso di un diploma che certifichi il compimento di un corso di studi universitario o equivalente della durata di quattro anni, a prescindere dal livello del diploma richiesto nello Stato membro ospitante.
Il provvedimento di recepimento della direttiva, il decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206, ha sostituito, abrogando in tutto o in parte, la normativa nazionale che regolava la materia dei riconoscimenti professionali.
La definizione di professioni “regolamentate” è fornita – insieme alle altre previste del provvedimento – dall’art. 4 del citato decreto: 1) l’attività, o l’insieme delle attività, il cui esercizio è consentito solo a seguito di iscrizione in Ordini o Collegi o in albi, registri ed elenchi tenuti da amministrazioni o enti pubblici, se la iscrizione è subordinata al possesso di qualifiche professionali o all’accertamento delle specifiche professionalità; 2) i rapporti di lavoro subordinato, se l’accesso ai medesimi è subordinato, da disposizioni legislative o regolamentari, al possesso di qualifiche professionali; 3) l’attività esercitata con l’impiego di un titolo professionale il cui uso è riservato a chi possiede una qualifica professionale; 4) le attività attinenti al settore sanitario nei casi in cui il possesso di una qualifica professionale è condizione determinante ai fini della retribuzione delle relative prestazioni o della ammissione al rimborso; 5) le professioni esercitate dai membri di un’associazione o di un organismo di cui all’Allegato I.
In base al D.Lgs. 206 i regimi che regolano i “riconoscimenti professionali” sono di tre tipi: 1. un regime generale di riconoscimento (artt. 18-26) non automatico ma basato sul confronto tra i percorsi formativo-professionali previsti nei due Stati e la possibilità, in caso di “differenza sostanziale” tra i diversi livelli di qualifica (previsti dall’art. 19 del decreto), di condizionare il riconoscimento a misure compensative (prova attitudinale o tirocinio di adattamento di durata non superiore a tre anni). Condizioni del riconoscimento sono: che il titolo (o l’attestato) sia stato rilasciato da una autorità competente; che detto titolo certifichi il possesso di un livello di qualifica almeno equivalente al livello immediatamente precedente a quello previsto dalla normativa nazionale; l’accesso alla professione regolamentata in Italia può, inoltre, essere anche riconosciuto se il richiedente, in possesso dei requisiti sopracitati, abbia esercitato a tempo pieno per due anni nel corso dei precedenti dieci;
2. un regime basato sull’esperienza professionale maturata nello Stato membro d’origine (artt. 27-30). Il sistema si applica ad attività di tipo artigianale, commerciale o industriale specificatamente indicate nell’Allegato IV del decreto e prevede un riconoscimento automatico se sono rispettate le condizioni espressamente previste per le singole categorie professionali (si prendono in considerazione elementi quali la durata, il tipo di esperienza professionale, come lavoratore autonomo o dipendente, la formazione pregressa).
3. un regime di riconoscimento automatico dei titoli di formazione per un limitato numero di professioni settoriali sulla base dell’avvenuta armonizzazione delle condizioni minime di formazione (si tratta delle 7 professioni elencate all’allegato V al decreto legislativo: medico, infermiere, odontoiatra, veterinario, ostetrica, farmacista e architetto) tale regime prevede che l’autorità competente dello Stato membro ospitante non può richiedere documenti che specifichino la formazione acquisita.
Alla disciplina comune e a quella specifica relativa alle singole professioni per le quali è previsto il riconoscimento automatico è dedicata la seconda parte del D.Lgs. 206 (artt. 31-58). A tale automatismo sono previste specifiche deroghe che giustificano il ricorso al regime generale di riconoscimento; tali deroghe sono possibili, ai sensi dell’art. 10 della direttiva, anche in presenza di una ragione specifica ed eccezionale per cui i richiedenti non soddisfano le condizioni generali del riconoscimento (tale ultima previsione dell’art. 10 non è tuttavia stata recepita nell’art. 18 del D.Lgs. 206);In attuazione della direttiva, il D.Lgs. 206/2007 prevede una stretta collaborazione amministrativa – con scambio di informazioni anche pervia telematica – tra le autorità competenti dello Stato membro ospitante e di quello d’origine (art. 8).
- Le iniziative dell’UE in materia di qualifiche professionali
Per agevolare il riconoscimento delle qualifiche professionali nell’UE la Commissione europea ha proceduto alla creazione di:
una banca dati delle professioni regolamentate coperte dalla direttiva 2005/36/CE; che contiene informazioni su quali professioni sono regolamentate in quali Paesi e da quali autorità, sui titoli che sulle qualifiche; la banca dati a breve dovrebbe contenere anche la descrizione puntuale dei requisiti di accesso e della formazione richiesta;
uno strumento elettronico multilingue (cd. I.M.I., Internal Market Information) utilizzato per lo scambio di informazioni tra le autorità competenti dei 28 Stati membri dell’UE in relazione a tutte le direttive del mercato interno; il sistema è stato sviluppato dalla Commissione europea in collaborazione con gli Stati membri (secondo quanto stabilito dal Regolamento 1024/2012/UE) per rendere. Più facile e più rapida la cooperazione amministrativa tra autorità competenti degli Stati membri, contribuendo in tal modo ad accelerare le procedure e riducendo i costi dovuti alle attese.
un gruppo dei coordinatori nazionali, al quale partecipa anche un rappresentante della Commissione europea.
Il gruppo di coordinatori per il riconoscimento delle qualifiche professionali è stato istituito con decisione della Commissione europea del 19 marzo 2007. Il gruppo, presieduto dalla Commissione, è incaricato di svolgere le seguenti funzioni:
a) avviare una cooperazione fra le autorità degli Stati membri e la Commissione sulle questioni relative al riconoscimento delle qualifiche professionali;
b) sorvegliare l’evoluzione delle politiche che presentano un impatto sulle professioni regolamentate per quanto riguarda le qualifiche; c) facilitare l’attuazione della direttiva 2005/36/CE, in particolare tramite l’elaborazione di documenti di interesse comune, ad esempio orientamenti interpretativi;
d) realizzare uno scambio di esperienze e buone pratiche nei settori di cui ai punti precedenti.
- La revisione del quadro normativo europeo sul riconoscimento delle qualifiche: la nuova direttiva 2013/55/CE
Nell’ambito delle iniziative volte a completare e rafforzare il mercato interno, la direttiva 2013/55/CE, di modifica della direttiva 2005/36/CE, ha introdotto numerose modifiche alla disciplina sul riconoscimento delle qualifiche professionali nell’Unione.
La direttiva discende dalla necessità – emersa da valutazioni effettuate dalla Commissione europea sullo stato di attuazione della direttiva 2005/36/CE – di RIMUOVERE GLI OSTACOLI ANCORA ESISTENTI IN MATERIA DI RICONOSCIMENTO DELLE QUALIFICHE PROFESSIONALI quali la complessità delle prassi e le irregolarità amministrative, i ritardi nelle procedure di riconoscimento e le resistenze corporative a livello nazionale. Tra i punti più qualificanti della nuova disciplina si segnalano:
l’introduzione di una tessera professionale europea (E.P.C.) volta a facilitare il riconoscimento delle qualifiche professionali conseguite nell’UE; inizialmente, l’EPC sarà disponibile solo per alcune professioni selezionate che presentano una elevata mobilità e che figurano tra quelle per le quali è stato manifestato interesse;
L’ACCESSO PARZIALE ovvero la possibilità per il professionista di esercitare in uno Stato membro l’attività solo nel settore per cui è pienamente qualificato nello Stato di origine, evitando l’obbligo di misure compensative;
un migliore accesso alle informazioni relative al riconoscimento delle qualifiche professionali mediante il ricorso a punti di contatto unici istituiti nel quadro della direttiva 2006/123/CE sui servizi nel mercato interno;
il riconoscimento del tirocinio professionale svolto in altro Stato membro, a condizione che si attenga alle specifiche linee guida pubblicate per ogni professione;
il superamento della comparazione dei soli livelli di qualifica ai fini del riconoscimento professionale (andranno considerate anche le conoscenze e le abilità acquisite con l’esperienza professionale o mediante formazione permanente);
la trasformazione dei punti di contatto nazionali in centri di assistenza, con la creazione di sportelli fisici che forniscono informazione, consulenza e assistenza ai cittadini;
la previsione di un processo di trasparenza con il quale ogni stato membro dovrà esaminare la propria disciplina sulle professioni per verificare che non sia discriminatoria.
Secondo la direttiva epigrafata (1) “Ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera c) del trattato, l’eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione di persone e servizi tra Stati membri è uno degli obiettivi della Comunità. Per i cittadini degli Stati membri, essa comporta, tra l’altro, la facoltà di esercitare, come lavoratore autonomo o subordinato, una professione in uno Stato membro diverso da quello in cui hanno acquisito la relativa qualifica professionale. Inoltre, l’articolo 47, paragrafo 1 del trattato prevede l’approvazione di direttive miranti al reciproco riconoscimento di diplomi, certificati e altri titoli”.
L’articolo 3 è disposizione di coordinamento, che integra la formulazione dell’art. 3, comma 2, del D.Lgs. 206 relativo agli effetti del riconoscimento (art. 1, punto 4, dir 2013/55).
Tale principale effetto è quello di accedere, se in possesso dei requisiti previsti, alla professione corrispondente per la i cittadini membri dell’Unione sono qualificati nello Stato membro d’origine e di esercitarla alle stesse condizioni previste dall’ordinamento italiano (art. 3, comma 1, del decreto). Ai fini del riconoscimento, la professione che l’interessato eserciterà sul territorio italiano sarà quella per la quale è qualificato nel proprio stato membro d’origine, se le attività sono comparabili (art. 3, comma 2, del decreto).la disposizione fa salva, al citato comma 2, la disciplina dell’accesso parziale ad un’attività professionale.
L’accesso parziale ad una attività professionale è CONCESSO se ricorrono, simultaneamente, le seguenti condizioni:
a) il professionista è pienamente qualificato per esercitare nello Stato membro d’origine l’attività professionale per la quale si chiede un accesso parziale;
b) vi sia l’impossibilità di imporre misure compensative che risulterebbero troppo onerose (per le eccessive differenze tra la professione esercitata nello Stato membro e quella regolamentata in Italia);
c) l’attività professionale può essere oggettivamente separata da altre attività che rientrano nella professione regolamentata in Italia.
Il considerando 7 della direttiva 2013/55 rileva, sul punto, che “vi sono casi in cui, nello Stato membro ospitante, le attività interessate fanno parte di una professione con un ambito di attività più esteso che nello Stato membro di origine.
Se le differenze tra ambiti di attività sono così vaste da esigere che il professionista segua un programma completo di istruzione e formazione per compensare le lacune e se il professionista stesso ne fa richiesta, in presenza di tali circostanze particolari lo Stato membro ospitante dovrebbe garantire un accesso parziale. Ciononostante, qualora vi siano motivi imperativi di interesse generale, quali definiti dalla Corte di giustizia dell’Unione europea nella giurisprudenza concernente gli articoli 49 e 56 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) e suscettibili di ulteriori evoluzioni, uno Stato membro dovrebbe poter rifiutare tale accesso parziale. Questo può essere il caso delle professioni sanitarie se hanno implicazioni sulla salute pubblica o sulla sicurezza dei pazienti”.
Il nuovo articolo prevede inoltre il possibile rifiuto all’accesso parziale in presenza di un motivo imperativo di interesse generale, che permette di conseguire l’obiettivo perseguito (e si limita a quanto necessario per raggiungere tale obiettivo).
Si ricorda che i motivi imperativi di interesse generale sono quelli riconosciuti come tali dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea.
Il DECRETO LEGISLATIVO 9 novembre 2007, n. 206
di “Attuazione della direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, nonché della direttiva 2006/100/CE che adegua determinate direttive sulla libera circolazione delle persone a seguito dell’adesione di Bulgaria e Romania” disciplina all’art. 1 Art. 1. Oggetto “… il riconoscimento, per l’accesso alle professioni regolamentate e il loro esercizio, con esclusione di quelle il cui svolgimento sia riservato dalla legge a professionisti in quanto partecipi sia pure occasionalmente dell’esercizio di pubblici poteri ed in particolare le attività riservate alla professione notarile, delle qualifiche professionali già acquisite in uno o più Stati membri dell’Unione europea, che permettono al titolare di tali qualifiche di esercitare nello Stato membro di origine la professione corrispondente.
L’art. 1-bis del medesimo decreto “… disciplina, altresì, il riconoscimento delle qualifiche professionali già acquisite in uno o più Stati membri dell’Unione europea e che permettono al titolare di tali qualifiche di esercitare nello Stato membro di origine la professione corrispondente, ai fini dell’accesso parziale ad una professione regolamentata sul territorio nazionale, nonché i criteri relativi al riconoscimento dei tirocini professionali effettuati da cittadini italiani in un altro Stato membro.
L’Art. 3 del D. Lgs. 206/2007, recante la disciplina degli “Effetti del riconoscimento” stabilisce che “1. Il riconoscimento delle qualifiche professionali operato ai sensi del presente decreto legislativo permette di accedere, se in possesso dei requisiti specificamente previsti, alla professione corrispondente per la quale i soggetti di cui all’articolo 2, comma 1, sono qualificati nello Stato membro d’origine e di esercitarla alle stesse condizioni previste dall’ordinamento italiano.”
2. Ai fini dell’articolo 1, comma 1, la professione che l’interessato eserciterà sul territorio italiano sarà quella per la quale è qualificato nel proprio Stato membro d’origine, se le attività sono comparabili, fatto salvo quanto previsto all’articolo 5-septies in tema di accesso parziale.
Il titolo di studio conseguito dai ricorrenti è idoneo a conferire un titolo suscettibile di riconoscimento in Italia, secondo una lettura costituzionalmente orientata alla luce del Principio di uguaglianza, il quale porta a concludere per la fondatezza del presente motivo di doglianza di parte ricorrente.
Il comportamento tenuto dall’amministrazione convenuta integra un eccesso di potere per abuso di potere che non trova fondamento né nella legislazione italiana di riferimento, né nella disciplina comunitaria.
A tale riguardo va osservato che a fronte della determinazione di un obbligo incombente sugli Stati membri, così come determinato in una Direttiva, lo Stato membro non può adottare comportamenti idonei a pregiudicare la comune realizzazione degli obiettivi previsti dal diritto comunitario addirittura nemmeno durante il periodo entro il quale la Direttiva deve essere recepita.
Secondo una giurisprudenza consolidata, “in mancanza di armonizzazione delle condizioni di accesso ad una professione, gli Stati membri possono definire le conoscenze e le qualifiche necessarie all’esercizio di tale professione e richiedere la presentazione di un diploma che attesti il possesso di queste conoscenze e di queste qualifiche (v. sentenze 15 ottobre 1987, causa 222/86, Heylens e a., Racc. pag. 4097, punto 10; 7 maggio 1991, causa C-340/89, Vlassopoulou, Racc. pag. I-2357, punto 9, nonché 7 maggio 1992, causa C-104/91, Aguirre Borrell e a., Racc. pag. 1-3003,punto 7)” 178
Tuttavia, in questo caso, secondo la sentenza Morgenbesser (Sentenza della Corte del 13 Novembre 2003, Morgenbesser, C-313/01, ECLI:EU:C:2003:612, punto 67) “Ne deriva che spetta all’autorità competente verificare, conformemente ai principi sanciti dalla Corte nelle citate sentenze Vlassopoulou e Fernandez de Bobadilla, se, e in quale misura, si debba ritenere che le conoscenze attestate dal diploma rilasciato in un altro Stato membro e le qualifiche o l’esperienza professionale ottenute in quest’ultimo, nonché l’esperienza ottenuta nello Stato membro in cui il candidato chiede di essere iscritto, soddisfino, anche parzialmente, le condizioni richieste per accedere all’attività di cui trattasi.”
Questa procedura di valutazione deve consentire alle autorità dello Stato membro ospitante di assicurarsi obiettivamente che il diploma straniero attesti il possesso, da parte del suo titolare, di conoscenze e di qualifiche, se non identiche, quantomeno equivalenti a quelle attestate dal diploma nazionale. Tale valutazione dell’equivalenza del diploma straniero deve effettuarsi esclusivamente in considerazione del livello delle conoscenze e delle qualifiche che questo diploma, tenuto conto della natura e della durata degli studi e della formazione pratica di cui attesta il compimento, consente di presumere in possesso del titolare (cfr. sentenza della Corte del 15 ottobre 1987, Unectef/Heylens, C-222/86, ECLI:EU:C:1987:442, punto 13).
Sulla base delle rappresentate premesse, infatti, la Commissione Europea ha concluso che “alla luce di quanto sopra, se le autorità italiane considerano gli italiani che hanno conseguito una formazione come insegnanti in un altro Stato membro dell’UE non qualificati per accedere direttamente alla professione stessa, dovrebbero comunque valutare le loro conoscenze e qualifiche acquisite. Questa valutazione, dovrebbe consentire agli studenti italiani di partecipare, nella categoria pertinente, al concorso per accedere al “percorso FIT”. Infatti, secondo le informazioni contenute nella legge(Decreto legislativo n.59 13 Aprile 2017, Supplementario ordinario alla Gazzetta Ufficiale n.112 del 16 Maggio 201 7 Serie generale) la possibilità di accedere a questa formazione non significa accedere direttamente alla professione.
Infine, l’esame della corrispondenza tra le conoscenze e le qualifiche attestate dal diploma straniero e quelle richieste dalla normativa dello Stato membro ospitante deve essere effettuato dalle autorità nazionali secondo un procedimento che sia conforme ai requisiti posti dal diritto dell’UE a proposito della tutela effettiva dei diritti fondamentali conferiti dal trattato ai cittadini dell’Unione. Ne consegue che ogni decisione presa dalle autorità nazionali in relazione all’esame deve essere soggetta ad un gravame di natura giurisdizionale che consente di verificarne la legittimità rispetto al diritto dell’UE e che l’ interessato deve poter venire a conoscenza dei motivi che stanno alla base della decisione adottata nei suoi confronti ( cfr. sentenza in Unectef/Heylens, già citata, punto 17, e in Vlassopoulou, già citata, punto 22).
La giurisprudenza del CGE ha chiarito che uno Stato membro non può negare il riconoscimento di un titolo professionale per il solo fatto che il richiedente non ha effettuato il tirocinio pratico nello Stato membro di destinazione (Causa C-118/2009) e che il diritto dei cittadini di scegliere, da un lato lo Stato membro nel quale desiderano acquisire il proprio titolo professionale e, dall’altro, quello in cui hanno intenzione di esercitare la loro professione è interente l’esercizio, in un mercato unico, delle libertà garantite dai Trattati (Commissione c. Spagna, Causa C-286/2006).
Sulla scorta dei principi di diritto direttamente e chiaramente desumibili dalla richiamata giurisprudenza comunitaria così come trasposti nella normativa di diritto interno, quand’anche lo Stato italiano, e per esso il Ministero odiernamente convenuto, ritenesse di non essere vincolato dalla procedura di cui alla direttiva 36/2005/CE non possono, in ogni caso, violare i principi sanciti nel Trattato in materia di libertà di stabilimento o di libera circolazione dei lavoratori.
Se, infatti, le norme nazionali non tengono conto delle conoscenze e delle qualifiche già acquisite da un cittadino di un altro Stato membro al di fuori dello Stato ospitante, l’esercizio delle libertà di stabilimento e di circolazione è ostacolato.
In materia di riconoscimento delle qualifiche professionali conseguite all’estero la giurisdizione amministrativa italiana in modo ormai consolidato impone che le amministrazioni competenti si ispirino a criteri di congruità nella valutazione delle formazioni conseguite all’estero “nei termini chiariti dalla giurisprudenza europea” invocando il carattere cogente e imperativo dei principi enunciati dalla giurisprudenza comunitaria rispetto alla determinazione dei contenuti della volontà dell’amministrazione perché espressivi di preminenti interessi generali di diretta derivazione comunitaria.
Secondo un consolidato orientamento del Consiglio di Stato, infatti,nell’esercizio dell’attività amministrativa procedimentale finalizzata al riconoscimento del titolo conseguito deve svolgere una valutazione “durata complessiva, il livello e la qualità delle formazioni a tempo parziale nonsiano inferiori a quelli delle formazioni continue a tempo pieno” (cfr. ad es. Cge n. 675 del 2018)” …“a fronte della chiarezza dei principi e delle norme europee rilevanti in materia, non occorre sottoporre la questione alla Corte di giustizia in termini di rinvio pregiudiziale” in conformità alle chiare disposizioni di cui all’articolo 45 TFUE secondo cui “quando esamina una domanda di partecipazione proposta da un cittadino di tale Stato membro, subordini tale partecipazione al possesso dei diplomi richiesti dalla normativa di detto Stato membro o al riconoscimento dell’equipollenza accademica di un diploma di master rilasciato dall’università di un altro Stato membro, senza prendere in considerazione l’insieme dei diplomi, certificati e altri titoli nonché l’esperienza professionale pertinente dell’interessato, effettuando un confronto tra le qualifiche professionali attestate da questi ultimi e quelle richieste da detta normativa (cfr. ad es. Corte giustizia UE sez. II, 06/10/2015, n.298).In tale ottica, le norme della direttiva 2005/36/CE , relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, devono essere interpretate nel senso che impongono ad uno Stato membro di riconoscere in modo automatico i titoli di formazione previsti da tale direttiva e rilasciati in un altro Stato membro al termine di formazioni in parte concomitanti, a condizione che “la durata complessiva, il livello e la qualità delle formazioni a tempo parziale non siano inferiori a quelli delle formazioni continue a tempo pieno” (cfr. più di recente Corte giustizia UE , sez. III, 06/12/2018 , n. 675).
In base all’art. 13 della direttiva 2013/55/Ue, prosegue il Collegio, che ha modificato la predetta direttiva 2005/36, rubricato condizioni di riconoscimento: “1. Se, in uno Stato membro ospitante, l’accesso a una professione regolamentata o il suo esercizio sono subordinati al possesso di determinate qualifiche professionali, l’autorità competente di tale Stato membro permette l’accesso alla professione e ne consente l’esercizio, alle stesse condizioni previste per i suoi cittadini, ai richiedenti in possesso dell’attestato di competenza o del titolo di formazione di cui all’articolo 11, prescritto da un altro Stato membro per accedere alla stessa professione ed esercitarla sul suo territorio. Gli attestati di competenza o i titoli di formazione sono rilasciati da un’autoritàcompetente di uno Stato membro, designata nel rispetto delle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative di detto Stato membro”. A propria volta il successivo comma 3 statuisce: “3. Lo Stato membro ospitante accetta il livello attestato ai sensi dell’articolo 11 dallo Stato membro di origine nonché il certificato mediante il quale lo Stato membro di origine attesta che la formazione e l’istruzione regolamentata o la formazione professionale con una struttura particolare di cui all’articolo 11, lettera c), punto ii), è di livello equivalente a quello previsto all’articolo 11, lettera c), punto i).”
L’amministrazione, infatti, “è chiamata unicamente alla valutazione indicata dalla giurisprudenza appena richiamata, cioè alla verifica che, per il rilascio del titolo di formazione ottenuto in un altro Stato membro al termine di formazioni in parte concomitanti, la durata complessiva, il livello e la qualità delle formazioni a tempo parziale non siano inferiori a quelli delle formazioni continue a tempo pieno” (Consiglio di Stato, sez. VI, 17 febbraio 2020, n. 1198; cfr. anche sez. VI, 2 marzo 2020, n. 1521; 20 aprile 2020, n. 2495; 8 luglio 2020, n. 4380) con l’ulteriore obbligo di adottare provvedimenti all’esito di adeguata istruttoria.
- IL RICONOSCIMENTO FIALIZZATO.
- La convenzione di Lisbona.
La Convenzione sul riconoscimento dei titoli di studio relativi all’insegnamento superiore nella Regione europea, fatta a Lisbona l’11 aprile 1997
La Convenzione è stata adottata nella Conferenza Diplomatica di Lisbona dell’11 aprile 1997.
Essa supera tutte le precedenti Convenzioni in materia di riconoscimento dei titoli accademici adottate dal Consiglio d’Europa e dall’Unesco. La Convenzione è stata firmata dall’Italia l’11 Aprile 1997 e successivamente ratificata con Legge 11 luglio 2002, n.148 di Ratifica ed esecuzione della Convenzione sul riconoscimento dei titoli di studio relativi all’insegnamento superiore nella Regione europea, fatta a Lisbona l’11 aprile 1997, e norme di adeguamento dell’ordinamento interno.
La Convenzione nasce con lo scopo di favorire la mobilità interuniversitaria, garantendo il reciproco riconoscimento dei titoli e dei percorsi di studio tra i Paesi firmatari, laddove possibile.
La convenzione si articola in 11 sezioni come segue:
Preambolo
Sezione I – Definizioni
Sezione II – Competenza delle autorità
Sezione III – Principi fondamentali per la valutazione delle qualifiche
Sezione IV – Riconoscimento delle qualifiche che danno accesso all’insegnamento superiore
Sezione V – Riconoscimento dei periodi di studi
Sezione VI – Riconoscimento delle qualifiche di insegnamento superiore
Sezione VII –Riconoscimento delle qualifiche dei rifugiati, degli sfollati e delle persone assimilate ai rifugiati
Sezione VIII –Informazione sulla valutazione degli istituti e dei programmi di insegnamento superiore
Sezione IX – Informazione in materia di riconoscimento
Sezione X – Meccanismi di applicazione
Sezione X – Clausole finali
Ai sensi dell’articolo 1 la convenzione disciplina il riconoscimento dei titoli idonei a consentire “L’Accesso (all’insegnamento superiore)”, ovvero Il diritto dei candidati qualificati a postulare e ad essere presi in considerazione per l’ammissione all’insegnamento superiore, ovvero l’ammissione agli istituti e ai programmi di insegnamento superiore disciplinando l’atto o il sistema che permettono ai candidati qualificati di seguire degli studi in un determinato istituto e/o un determinato programma d’insegnamento superiore, nonché (la valutazione) il processo che permette di stabilire la qualità dell’insegnamento di un istituto o di un programma di insegnamento superiore mediante l’apprezzamento scritto, redatto da un organismo competente, delle qualifiche estere di un individuo.
La Convenzione individua, per ciascuno dei procedimenti finalizzati di riconoscimento, un’apposita autorità competente intesa come “organismo ufficialmente incaricato di stabilire le decisioni vincolanti di riconoscimento delle qualifiche estere conseguite nell’ambito di Istituti di insegnamento superiore, ovvero istituti che forniscono un insegnamento superiore e riconosciuto dall’autorità competente di una Parte come appartenenti al proprio sistema di insegnamento superiore e all’esito di un programma di insegnamento superiore, ovvero un ciclo di studi riconosciuto dall’autorità competente di una Parte come appartenente al proprio sistema di insegnamento superiore la cui riuscita comporta per lo studente una qualifica di insegnamento superiore, ovvero di un periodo di studi inteso comeparte di un programma di insegnamento superiore, che è stato oggetto di una valutazione e di una convalida e che, sebbene da solo non costituisca un programma di studi completo, rappresenti un miglioramento significativo delle conoscenze ed attitudini.
Il riconoscimento ai sensi della Convenzione si concreta in un attestato, dello stesso valore della qualifica di un insegnamento estero, redatto da un’autorità competente al fine di accedere alle attività di insegnamento e/o lavorative. Idoneo a soddisfare talune condizioni generali o specifiche se attinenti ad una qualifica specifica di insegnamento superiore in una particolare disciplina di studi.
Le disposizioni sono immediatamente vincolanti per le autorità statali, centrali o periferiche ovvero agli istituti di insegnamento superiore o ad altre entità che in base all’organizzazione dello Stato siano competenti all’adozione dei provvedimenti di riconoscimento e gli Stati sono tenuti ad adottare tutte le misure possibili per garantire la più favorevole applicazione del testo della Convenzione che, ad ogni modo, non può derogare le disposizioni più favorevoli, contenute in trattati esistenti o futuri, o che dipendano da esso, relative al riconoscimento delle qualifiche rilasciate in una delle Parti, di cui una Parte della presente Convenzione sarebbe o potrebbe diventare Parte.
La convenzione impone l’adozione di procedimenti amministrativi di riconoscimento ispirati al rispetto e alla garanzia della trasparenza e introduce un obbligo di carattere generale in capo agli Stati contraenti di riconoscere, ai fini dell’accesso ai programmi appartenenti al proprio sistema di insegnamento superiore, le qualifiche rilasciate dalle altre Parti che soddisfano le condizioni generali di accesso all’insegnamento superiore, a meno che non si possa dimostrare che esiste una differenza sostanziale tra le condizioni di accesso nella parte in cui la qualifica è stata ottenuta e nella parte in cui viene richiesto il riconoscimento della qualifica.
I procedimenti di valutazione in tal caso devono comunque ispirarsi a criteri di reciprocità tra gli Stati rispetto ai criteri di riconoscimento.
- La legge di ratifica della convenzione di Lisbona n. 148/2002.
Lo Stato Italiano, in seguito all’adesione alla Convenzione di Lisbona, ha ratificato la convenzione per mezzo della legge di ratifica 11 luglio 2002, n. 148, da considerarsi norma supra-legislativa, quindi prevalente rispetto alle altre leggi ordinarie.
La legge nazionale recepisce integralmente il testo della Convenzione ribadendo che la competenza per il riconoscimento dei cicli e dei periodi di studio svolti all’estero e dei titoli di studio stranieri, ai fini dell’accesso all’istruzione superiore, del proseguimento degli studi universitari e del conseguimento dei titoli universitari italiani, è attribuita alle Università ed agli Istituti di istruzione universitaria.
Inoltre, la norma attribuisce il riconoscimento dei titoli accademici per finalità diverse da amministrazioni dello Stato, nella fattispecie le Amministrazioni interessate per Competenza (ad esempio il Ministero della Salute per i titoli dell’area sanitaria), nel rispetto delle disposizioni vigenti in materia di riconoscimento ai fini professionali e di accesso ai pubblici impieghi, secondo procedure da stabilire con successivo regolamento di esecuzione.
Infine, la legge 148/2002 riconosce in capo al Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca l’istituzione di una centro nazionale di informazione (ENIC-NARIC). In applicazione dell’Articolo IX.2 della suddetta Convenzione, l’Italia ha affidato al CIMEA (Centro di Informazione sulla Mobilità e le Equivalenze Accademiche), il compito di svolgere le attività di Centro nazionale di informazione sulle procedure di riconoscimento dei titoli vigenti in Italia, sul sistema italiano d’istruzione superiore e sui titoli presenti a livello nazionale, depositando tale designazione presso il Consiglio d’Europa.
L’art. 2 della legge 148/2002, infatti, dispone espressamente quanto segue: “1. La competenza per il riconoscimento dei cicli e dei periodi di studio svolti all’estero e dei titoli di studio stranieri, ai fini dell’accesso all’istruzione superiore, del proseguimento degli studi universitari e del conseguimento dei titoli universitari italiani, e’ attribuita alle Università ed agli Istituti di istruzione universitaria, che la esercitano nell’ambito della loro autonomia e in conformità ai rispettivi ordinamenti, fatti salvi gli accordi bilaterali in materia.
L’art. 5 della L. 148/2002, ha stabilito espressamente che “il riconoscimento dei titoli accademici per finalità diverse da quelle indicate nell’articolo 2, è operato da amministrazioni dello Stato, nel rispetto delle disposizioni vigenti in materia di riconoscimento ai fini professionali e di accesso ai pubblici impieghi, secondo procedure da stabilire con successivo regolamento di esecuzione”.
Il regolamento di esecuzione in questione è il DPR 189/2009 che relativamente ai titolo che consentono l’accesso al pubblico impiego introduce una specifica disciplina rinvenibile nell’art. 2 e nella richiamata disciplina di cui all’art.38 del D. Lgs. 165/2001.
Nell’ipotesi in cui il riconoscimento del titolo universitario sia prodromico soltanto ai fini dell’attribuzione del punteggio nella valutazione dei titoli dei candidati, la competenza è devoluta, ai sensi dell’art. 3 del richiamato d.P.R. n. 189/2009, al Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca oggi Ministero dell’Istruzione.
Nelle ipotesi di riconoscimento non accademico per la partecipazione a concorsi pubblici sono vincolanti le disposizioni di cui al DP.R. n. 189/2009 art 5. Quest’ultimo, adottato con d.P.R. n. 189/2009, all’art. 2 da leggersi in combinato disposto con l’art. 38 del d. lgs. n. 165/2001 (T.U.P.I.), radica la competenza in capo alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della Funzione Pubblica.
.
- IL TITOLO DI SPECIALIZZAZIONE SUL SOSTEGNO.
La specializzazione sul sostegno, che si distingue dall’abilitazione all’insegnamento, si concreta in corso/concorso con successiva formazione pratica: la specializzazione per l’attività’ di sostegno didattico agli alunni con disabilità si consegue esclusivamente presso le università mediante l’ammissione, la frequenza e il conseguimento di un titolo di specializzazione all’esito di un PERCORSO FORMATIVO con funzione specializzante.
La specializzazione sul sostegno è stata introdotta dal D.M. MIUR n. 249/2010 recante la disciplina del Regolamento concernente: «Definizione della disciplina dei requisiti e delle modalità della formazione iniziale degli insegnanti della scuola dell’infanzia, della scuola primaria e della scuola secondaria di primo e secondo grado, ai sensi dell’articolo 2, comma 416, della legge 24 dicembre 2007, n. 244».
Il predetto regolamento, infatti, in ragione di quanto espressamente definito dagli artt. 1, 2 e 3 ha determinato i “requisiti e le modalità della formazione iniziale degli insegnanti della scuola dell’infanzia, della scuola primaria e della scuola secondaria di primo e secondo grado, in coerenza con le previsioni di cui al piano programmatico adottato dal Ministro dell’istruzione dell’ università e della ricerca, ai sensi del predetto articolo 64 (art. 1)”.
In seguito, l’art. 1 del D.M. Miur 30/09/2011 ha disciplinato “Criteri e modalità per lo svolgimento dei corsi di formazione per il conseguimento della specializzazione per le attività di sostegno, ai sensi degli articoli 5 e 13 del decreto 10 settembre 2010, n. 249 “Specializzazione per il sostegno didattico agli alunni con disabilità”.
A tal fine, il predetto decreto ha stabilito quanto segue:
- che (art. 1) “in attesa della definizione di specifiche classi di concorso e della correlata istituzione di apposite lauree magistrali, le attività di sostegno didattico di cui all’art. 13, commi 3, 5 e 6 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, sono svolte da insegnanti muniti della relativa specializzazione conseguita nelle università, attraverso corsi attivati secondo i criteri stabiliti dal presente decreto”;
- che “1. Il profilo del docente specializzato, le tematiche delle prove di accesso, gli insegnamenti e le attività laboratoriali e di tirocinio, i crediti formativi universitari e gli aspetti organizzativi dei corsi di specializzazione per le attività di sostegno sono definiti negli allegati A, B e C, che costituiscono parte integrante del presente decreto. 2. I corsi sono a numero programmato. La programmazione e’ definita annualmente dal Ministro dell’istruzione, dell’università’ e della ricerca, ai sensi dell’art. 5 del decreto del medesimo Ministro 10 settembre 2010, n. 249, sulla base della programmazione regionale degli organici del personale docente della scuola e del fabbisogno specifico di personale specializzato per il sostegno didattico degli alunni con disabilità”.
L’accesso ai corsi di formazione specialistica è stato inizialmente riservato a docenti in possesso dell’abilitazione all’insegnamento per il grado di scuola per il quale si intendesse conseguire la specializzazione per le attività’ di sostegno.
In seguito, il decreto legislativo n. 66/2017, attuativo della legge n. 107/2015, ha dettato esplicitamente nuove disposizioni per conseguire il titolo d’accesso all’insegnamento di sostegno presso la scuola dell’infanzia e primaria, superando quanto previsto, sostanzialmente, dal DM n. 249/2010.
In seguito, il del Decreto Legislativo n. 59 del 13/04/2017 ha disposto misure inerenti il “riordino, adeguamento e semplificazione del sistema di formazione iniziale e di accesso nei ruoli di docente nella scuola secondaria. Il provvedimento prevede anche le nuove modalità di abilitazione e di reclutamento dei docenti di sostegno della scuola secondaria”, successivamente modificato dalla legge di bilancio 2019 (L. 145/18 Art.1 comma 792) e dal successivo D.M. 92/19, che da ultimo ha apportato significative modifiche ai requisiti e alle modalità di accesso e all’organizzazione dei corsi.
Ed infatti, la disposizione di cui all’art. 5 comma 3 del predetto D. lgs. 59/1997 nel testo novellato dalla legge 145/2018, stabilisce, con riguardo alla materia oggetto del contendere di cui al presente giudizio che “3. … Sono titoli di accesso ai percorsi di specializzazione i requisiti di cui al comma 1 o al comma 2 con riferimento alle procedure distinte per la secondaria di primo o secondo grado”.
Ai sensi del comma 1 e comma 2 (del medesimo Art. 5. “Requisiti di accesso”) “1. Costituisce titolo di accesso al concorso relativamente ai posti di docente di cui all’articolo 3, comma 4, lettera a), il possesso dell’abilitazione specifica sulla classe di concorso oppure il possesso congiunto di: a) laurea magistrale o a ciclo unico, oppure diploma di II livello dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica, oppure titolo equipollente o equiparato, coerente con le classi di concorso vigenti alla data di indizione del concorso; b) 24 crediti formativi universitari o accademici, di seguito denominati CFU/CFA, acquisiti in forma curricolare, aggiuntiva o extra curricolare nelle discipline antro-po-psico-pedagogiche e nelle metodologie e tecnologie didattiche, garantendo comunque il possesso di almeno sei crediti in ciascuno di almeno tre dei seguenti quattro ambiti disciplinari: pedagogia, pedagogia speciale e didattica dell’inclusione; psicologia; antropologia; metodologie e tecnologie didattiche.2. Costituisce titolo di accesso al concorso relativamente ai posti di insegnante tecnico-pratico, il possesso dell’abilitazione specifica sulla classe di concorso oppure il possesso congiunto di: a) laurea, oppure diploma dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica di primo livello, oppure titolo equipollente o equiparato, coerente con le classi di concorso vigenti alla data di indizione del concorso; b) 24 CFU/CFA acquisiti in forma curricolare, aggiuntiva o extra-curricolare nelle discipline antro-po-psico-pedagogiche e nelle metodologie e tecnologie didattiche, garantendo comunque il possesso di almeno sei crediti in ciascuno di almeno tre dei seguenti quattro ambiti disciplinari: pedagogia, pedagogia speciale e didattica dell’inclusione; psicologia; antropologia; metodologie e tecnologie didattiche.
Successivamente, il D.M. 92/2019, recante “Disposizioni concernenti le procedure di specializzazione sul sostegno di cui al decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca l0 settembre 2010, n. 249 e successive modificazioni” ha dettato disposizioni concernenti i percorsi di specializzazione per il sostegno agli alunni e alle alunne con disabilità della scuola dell’infanzia e primaria e della scuola secondaria di I e II grado, integrando e aggiornando, a decorrere dall’anno accademico 2018/19, le disposizioni di cui al decreto del Ministro dell’ istruzione, dell’università e della ricerca 30 settembre 2011 con riguardo all’ “Offerta formativa e relativi requisiti)” 1. l percorsi di cui al presente decreto sono istituiti ed attivati dagli Atenei, anche in convenzione tra loro, nel limite dei posti autorizzati per ciascun Ateneo con decreto del Ministero, secondo le modalità ed i requisiti del decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca dicembre 2016, n. 948. 2. Con successivo decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca sono autorizzati i percorsi di specializzazione di cui al presente provvedimento, è effettuata la 4 ripartizione dei contingenti e sono fissate le date uniche per ciascun indirizzo di specializzazione del test preliminare, nonché le eventuali deroghe alla data di termine dei percorsi di cui all’articolo 3, comma 3, in ragione delle tempistiche previste per gli adempimenti procedurali.
Articolo 3 (Requisiti di ammissione e articolazione del percorso) 1. Ai sensi della normativa vigente, sono ammessi a partecipare alle procedure di cui al presente decreto i candidati in possesso di uno dei seguenti titoli: a. per i percorsi di specializzazione sul sostegno per la scuola dell’infanzia e primaria, titolo di abilitazione all’insegnamento conseguito presso i corsi di laurea in scienze della formazione primaria o analogo titolo conseguito all’estero e riconosciuto in Italia ai sensi della normativa vigente; diploma magistrale, ivi compreso il diploma sperimentale a indirizzo psicopedagogico, con valore di abilitazione e diploma sperimentale a indirizzo linguistico, conseguiti presso gli istituti magistrali o analogo titolo di abilitazione conseguito all’estero e riconosciuto in Italia ai sensi della normativa vigente, conseguiti, comunque, entro l’anno scolastico 2001/2002; b. per i percorsi di specializzazione sul sostegno per la scuola secondaria di primo e secondo grado, il possesso dei requisiti previsti al comma 1 o al comma 2 dell’ articolo 5 del decreto legislativo con riferimento alle procedure distinte per la scuola secondaria di primo o secondo grado, nonché gli analoghi titoli di abilitazione conseguiti all’estero e riconosciuti in Italia ai sensi della normativa vigente. Sono altresì ammessi con riserva coloro che, avendo conseguito il titolo abilitante all’estero, abbiano presentato la relativa domanda di riconoscimento alla Direzione generale per gli ordinamenti scolastici e la valutazione del sistema nazionale di istruzione, entro la data termine per la presentazione delle istanze per la partecipazione alla specifica procedura di selezione”.
Dunque, (anche ai sensi del recente D.M. 95/2020 relativo all’attivazione dei percorsi di formazione per il conseguimento della specializzazione per le attività di sostegno scolastico TFA 2019/2020” per accedere ai corsi per i vari ordini di scuola occorre essere in possesso dei requisiti previsti dal D.M 92/19 e aver superato una prova di accesso predisposta dalle Università.
- L’O.M. 60/2020 E L’ISTITUZIONE DELLE GRADUATORIE DI SOSTEGNO.
- Le GPS gps e i titoli conseguiti all’estero.
Le GPS sono state disciplinate ed introdotte dall’O.M. 60/2020 che in prima applicazione e per il biennio relativo agli anni scolastici 2020/2021 e 2021/2022, ha disciplinato “la costituzione delle graduatorie provinciali per le supplenze e delle graduatorie di istituto su posto comune e di sostegno nonché l’attribuzione degli incarichi a tempo determinato del personale docente nelle istituzioni scolastiche statali, su posto comune e di sostegno, e del personale educativo, tenuto altresì conto di quanto previsto all’articolo 4, commi 6 e 8, della legge 3 maggio 1999, n. 124”.
Per mezzo dell’Ordinanza, dunque, sono state introdotte, sulla base del decreto-legge 8 aprile 2020, n. 22, recante “Misure urgenti sulla regolare conclusione e l’ordinato avvio dell’anno scolastico e sullo svolgimento degli esami di Stato nonché in materia di procedure concorsuali e di abilitazione e per la continuità della gestione accademica”, convertito, con modificazioni, dalla legge 06 giugno 2020, n. 41 e, in particolare, l’articolo 2, comma 4-ter, le nuove “graduatorie provinciali scolastiche” – GPS, graduatoriedi insegnanti costituite, appunto, su base provinciale, divise per posto comune e di sostegno, ed utilizzate per assegnare le supplenze annuali (31 agosto) o quelle fino al termine delle lezioni(30 giugno) che non sia stato possibile conferire previo scorrimento delle graduatorie ad esaurimento, anch’esse costituite su base provinciale, sono divise in due fasce ed hanno validità per due anni: 2020/2021 e 2021/2022.
L’art. 3 dell’Ordinanza, recante proprio la disciplina delle GPS, dispone che “1. Ai sensi dell’articolo 4, commi 6, 6-bis e 6-ter, della Legge 124/1999, in ciascuna provincia sono costituite GPS finalizzate, in subordine allo scorrimento delle GAE, all’attribuzione delle supplenze di cui all’articolo 2, comma 4, lettere a) e b).
2. Le GPS, distinte in prima e seconda fascia ai sensi dei commi 5, 6, 7 e 8, sono costituite dagli aspiranti che, avendone titolo, presentano la relativa istanza, per una sola provincia, attraverso le apposite procedure informatizzate, conformemente alle disposizioni di cui alla presente ordinanza e secondo modalità e termini stabiliti con successivo provvedimento della competente direzione generale.
3. Ai fini della costituzione delle GPS di prima e seconda fascia, i punteggi, le posizioni e le eventuali precedenze sono determinati, esclusivamente, sulla base delle dichiarazioni rese dagli aspiranti attraverso le procedure informatizzate di cui al comma 2. I titoli dichiarati dall’aspirante all’inserimento nelle GPS sono valutati se posseduti e conseguiti entro la data di presentazione della domanda di partecipazione”.
Al punto 7 è stabilito che: “LE GPS RELATIVE AI POSTI DI SOSTEGNO, DISTINTE PER I RELATIVI GRADI DI ISTRUZIONE DELLA SCUOLA DELL’INFANZIA, PRIMARIA, SECONDARIA DI PRIMO GRADO, SECONDARIA DI SECONDO GRADO, SONO SUDDIVISE IN FASCE COSÌ DETERMINATE:
a) la prima fascia è costituita dai soggetti in possesso dello specifico titolo di specializzazione sul sostegno nel relativo grado;
b) la seconda fascia è costituita dai soggetti, privi del relativo titolo di specializzazione, che entro l’anno scolastico 2019/2020 abbiano maturato tre annualità di insegnamento su posto di sostegno nel relativo grado e che siano in possesso:
i. per la scuola dell’infanzia e primaria, del relativo titolo di abilitazione o del titolo di accesso alle GPS di seconda fascia del relativo grado;
ii. per la scuola secondaria di primo e secondo grado, dell’abilitazione o del titolo di accesso alle GPS di seconda fascia del relativo grado”.
Ai fini dell’inserimento nelle GPS costituite all’esito di apposita procedura concorsuale, il titolo di specializzazione sul sostegno, in quanto titolo accademico non abilitante ma specializzante è dunque soggetto alla disciplina del riconoscimento finalizzato di cui all’art. 2 del D.P.R. 189/2009 da leggersi in combinato disposto con l’art. 38 del D. Lgs. 165/2001.
L’Ordinanza 60/2020, dunque, hasì istituito le graduatorie di sostegno di prima fascia ma le ha anche assoggettate alla medesima disciplina prevista per la composizione delle graduatoria di prima fascia su classe di concorso relativa ai soggetti in possesso di apposita specializzazione senza specificare che relativamente all’indicazione dei titoli di rispettivo accesso, ove conseguiti all’estero, dovessero essere state proposte dinanzi organi competenti in ragione delle differenti procedure di riconoscimento da azionare.
La disciplina delle GPS di sostegno, infatti, è distinta da quella delle GPS relative alle altre classi di concorso, nelle quali compaiono i docenti in possesso di specifica abilitazione pertanto la procedura di riconoscimento dei titoli conseguiti all’estero deve essere individuata sulla scorta di tale diversità.
E’ incontestato, infatti, che il TFS sostegno conseguito in Italia non sia un titolo abilitante all’insegnamento e che tali titoli consentano di accedere all’insegnamento del sostegno in attesa del riordino della classi di concorso del sostegno.
E’ altresì certo che solo con la pubblicazione dell’O.M. 60/2020 e la composizione della prima fascia delle GPS sostegno il titolo accademico di specializzazione sul sostegno si sia caricato di una specifica connotazione professionalizzante per la sua precipua capacità di consentire l’accesso all’impiego: più specificamente, è la previsione e la costituzione della prima fascia delle GPS composta da soggetti in possesso del titolo di specializzazione ai quali conferire in via preliminare rispetto ad altri soggetti che invece siano in possesso di una specifica esperienza di insegnamento sul sostegno senza il titolo di specializzazione, a connotare tale titolo accademico di specializzazione di una specifica funzione di accesso all’impiego che impone ai relativi istanti l’obbligo di richiederne il riconoscimento in conformità alle disposizioni di cui all’art. 2 D.P.R. 189/2009.
Tuttavia, la predetta ordinanza non ha in alcun modo mutato la qualificazione giuridica di tale titolo di specializzazione e non ha previsto alcuna specifica disposizione finalizzata a disciplinare la modalità di riconoscimento del titolo di specializzazione sul sostegno conseguito all’estero creando così un vero e proprio vulnus normativo colmato dalla sopravvenuta nota n. 26309 del 29 settembre 2020 con la quale la Direzione Generale per la Formazione Universitaria, l’inclusione e il Diritto allo Studio ha fornito, a tal fine, ha ritenuto necessario fornire specifiche precisazioni sulle modalità di valutazione dei titoli esteri accademici per le procedure di assunzione docenti e per l’inserimento nelle GPS ai fini del conferimento di incarichi di supplenza.
Nella nota, emanata in seguito numerose domande di riconoscimento da parte di coloro che possiedono un titolo estero NON ABILITANTE ALL’INSEGNAMENTO SU POSTO COMUNE O DI SOSTEGNO, al fine di conoscere la corrispondente classe di laurea italiana, il Ministero ha disposto quanto segue:
- CONCORSI PER IL RECLUTAMENTO
Per quanto attiene i concorsi per il reclutamento la valutazione del titolo come punteggio aggiuntivo è regolata dalle procedure indicate al DPR n. 189/2009 art. 3 comma 1 lett.a) ove si prevede che sia l’amministrazione interessata a inoltrare, fin d’ora, la relativa richiesta corredata della documentazione necessaria. A tal proposito, si segnala la necessità che detta documentazione sia presentata a codeste USR in copia conforme agli originali in aderenza dell’art. 18 del DPR n.445/2000, non potendosi, il candidato, avvalere della dichiarazione sostitutiva di atto notorio per dichiarare la conformità ex art. 19 DPR n 445/2000; ciò in quanto difetta la possibilità di effettuare con rapidità e facilità i dovuti controlli circa la veridicità di ciò che è dichiarato conforme, trattandosi di documentazione (quella estera) non riscontrabile tramite conferma dall’ente certificatore italiano ai sensi degli artt. 43 e 71 del DPR citato.
Quanto ai concorsi per il reclutamento, si precisa che, al fine di esprimere il parere di competenza, lo scrivente Ufficio necessita del parere scientifico-disciplinare del Consiglio universitario nazionale, circa l’ equivalenza del titolo posseduto dall’aspirante in ordine ai titoli italiani richiesti per partecipare al concorso o selezione come previsti dal bando.
- Detto organo si convoca a cadenze fisse per cui non è possibile accelerare la tempistica dipendendo dalla calendarizzazione delle sedute mese per mese.
Nelle more di tali sedute, i candidati sono ammessi con riserva alle prove concorsuali.
Pare proficuo, peraltro, attendere l’esito per lo meno delle preselettive, per evitare un inutile carico di lavoro di riconoscimenti effettuati a favore di coloro che vengano esclusi dalle prove scritte per non aver superato le prove preselettive. Pertanto, all’esito delle prove preselettive, l’USR competente per territorio, potrà inviare allo scrivente Ufficio, l’elenco dei possessori di titolo estero per l’emissione del riconoscimento a favore di coloro, la cui istanza di riconoscimento sia già stata antecedentemente richiesta dal medesimo USR, fornendo per tempo la documentazione necessaria alla valutazione.
GRADUATORIE PROVINCIALI
DIVERSO IL DISCORSO PER L’INSERIMENTO IN GPS. Se il titolo estero è un titolo ulteriore che attribuisca punteggio aggiuntivo l’istanza dovrà essere sempre inviata a questo Ufficio dalle USR o dagli ambiti provinciali.
Viceversa, se detto titolo sia requisito d’ingresso, in tal caso sarà il diretto interessato a presentare domanda in vista della possibile assunzione come supplente.
In tal caso, considerata la complessità del processo volto alla individuazione della classe di laurea (con passaggi interni al Consiglio universitario nazionale), i possessori di tali titoli sono ammessi con riserva in graduatoria, in attesa della valutazione suddetta”.
Consegue, dunque, dalla richiamata ricostruzione della vicenda relativa alle GPS che poiché le stesse sono costituite all’esito di una specifica procedura concorsuale ai fini dell’inserimento in tali graduatorie il titolo specializzante sul sostegno conseguito all’estero deve essere riconosciuto ai sensi dell’art. 2 del D.P.R. 189/2009 e che tale procedura di riconoscimento va prediletta relativamente al titolo di sostegno ogni qualvolta il possessore intende beneficiarne nell’ambito di una specifica procedura concorsuale, ovvero in sede di rinnovazione delle medesima graduatorie, ove le stesse, in quanto non permanenti, siano approvate per un periodo di tempo definito in forza di apposita procedura concorsuale.
Avv. Anna Chiara Vimborsati – Foro di Taranto
immagine tratta da focusjunior.it