Nel settore del pubblico impiego è noto l’istituto del ricongiungimento al coniuge militare trasferito d’autorità, che riconosce al dipendente il diritto al trasferimento con precedenza per ricongiungersi al coniuge appartenente alle forze armate o alle forze dell’ordine trasferito d’autorità.
L’articolo 1 della legge n. 100 del 1987, al comma 5, prevedeva che “Il coniuge convivente del personale militare di cui al comma 1 che sia impiegato di ruolo in una amministrazione statale ha diritto, all’atto del trasferimento o dell’elezione di domicilio nel territorio nazionale, ad essere impiegato, in ruolo normale, in soprannumero e per comando, presso le rispettive amministrazioni site nella sede di servizio del coniuge, o, in mancanza, nella sede più vicina”.
La predetta disposizione legislativa è stata poi abrogata dall’art. 2268, comma 1, del d.l.vo n. 66/2010 (“Codice dell’ordinamento militare”).
La disposizione dell’art. 17 della L. n. 266/1999
Il principio già enunciato dalla legge 100, è comunque rimasto nella formulazione, parzialmente diversa, di cui all’art.17 della L. n. 266/1999 il quale ora sancisce che:
“1. Il coniuge convivente del personale in servizio permanente delle Forze armate, compresa l’Arma dei carabinieri, del Corpo della Guardia di finanza e delle Forze di polizia ad ordinamento civile e degli ufficiali e sottufficiali piloti di complemento in ferma dodecennale nonché del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, trasferiti d’autorità da una ad altra sede di servizio, che sia impiegato in una delle amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 29/93, ha diritto, all’atto del trasferimento o dell’elezione di domicilio nel territorio nazionale, ad essere impiegato presso l’amministrazione di appartenenza o, per comando o distacco, presso altre amministrazioni nella sede di servizio del coniuge o, in mancanza, nella sede più vicina”.
Il caso
Sulla scorta della predetta disposizione legislativa, un dirigente scolastico, ancora al primo anno di servizio, e quindi in teoria inamovibile a fronte del vincolo triennale alla mobilità previsto per i dirigenti scolastici dal bando di concorso del 2017, formulava domanda di mobilità interregionale, invocando il diritto al ricongiungimento al coniuge militare trasferito d’autorità.
A fronte del diniego opposto dall’Amministrazione, il dirigente proponeva ricorso al Tribunale di Bergamo, invocando l’applicazione del beneficio previsto dalla L. n. 266/99.
La tesi dell’Amministrazione
Si costituiva in giudizio l’Amministrazione, eccependo la natura speciale della norma, quindi di stretta interpretazione, sostenendone l’inapplicabilità a tale peculiare categoria di dirigenti, in quanto iscritti ad un ruolo regionale e dunque tendenzialmente stanziali e per la stessa natura dell’incarico ricoperto dal dirigente scolastico, che non è un semplice dipendente del Ministero che possa essere destinato ad un qualsiasi ufficio, a meno di accettare un significativo demansionamento.
Secondo la tesi dell’amministrazione, inoltre, la funzione del dirigente scolastico, quanto a complessità e delicatezza, sarebbe equiparabile – se non superiore – a quella dell’ufficiale delle Forze Armate: dunque l’idea che la coniuge (donna) del militare (uomo) debba automaticamente e sistematicamente rinunciare ad una carriera impegnativa e prestigiosa solo per seguire i frequenti cambi di incarico del marito, parrebbe decisamente irrispettosa non solo delle esigenze organizzative del Ministero datore di lavoro (che si troverebbe, di fatto, a rinunciare ad un dirigente: non ad un dipendente qualsiasi), ma anche delle aspettative professionali della neo-dirigente scolastica.
La posizione del Tribunale di Bergamo.
Nell’accogliere la domanda del dirigente scolastico, il Giudice del lavoro ha evidenziato come la giurisprudenza, ordinaria, amministrativa e costituzionale, relativamente alla disposizione di cui all’art. 17 della legge n. 266/99 ha pacificamente individuato la finalità dell’istituto del ricongiungimento del coniuge di militare trasferito, nella necessità di tener conto contemporaneamente di due diverse esigenze:
– da un lato, quella del buon andamento (art. 97 della Cost.) dell’amministrazione militare, la quale richiede un regime di più accentuata mobilità del rispettivo personale, per cui è previsto un “trasferimento d’autorità”;
– dall’altro lato, l’esigenza di tutela dell’unità familiare (art. 29, secondo comma, della Cost.), che, in mancanza di tale istituto, per il militare e la sua famiglia risulterebbe compromessa, proprio a causa del particolare regime di mobilità che ne connota lo status.
Rendere effettivo il diritto all’unità della famiglia.
Il ricongiungimento è, dunque, diretto a rendere effettivo il diritto all’unità della famiglia che, come riconosciuto dalla Corte Costituzionale (cfr. sentenze n. 113 del 1998 e n. 28 del 1995), si esprime nella garanzia della convivenza del nucleo familiare e costituisce espressione di un diritto fondamentale della persona umana.
Tale valore costituzionale può giustificare una parziale compressione delle esigenze di alcune amministrazioni (nella specie, quelle di volta in volta tenute a concedere il comando o distacco di propri dipendenti per consentirne il ricongiungimento con il coniuge), purché nell’ambito di un ragionevole bilanciamento dei diversi valori contrapposti, operato dal legislatore.
Nel considerare la legittimità di detta disposizione legislativa, rispetto al parametro dell’art. 97 della Costituzione, la Consulta ha evidenziato che la stessa deve essere valutata tenendo conto dei suoi effetti sul buon andamento della pubblica amministrazione complessivamente intesa, non già di singole sue componenti, isolatamente considerate (v. Corte Costituzionale, 30/05/2008, n.183).
Nel caso di specie, se è vero che l’istituto del ricongiungimento sottrae un dipendente ad un’amministrazione, è altrettanto incontestabile che esso attenua i disagi provocati dalla mobilità del dipendente di un’altra amministrazione.
In conclusione, respingendo la questione di legittimità costituzionale sollevata in relazione alla norma in questione [1], la Corte Cost. ha rilevato che, tenendo in dovuto conto sia il complesso dei valori costituzionali in considerazione, sia egli effetti che la norma produce sul buon andamento dell’amministrazione pubblica in generale, deve ritenersi che la scelta del legislatore, costituendo un bilanciamento non irragionevole delle esigenze e degli interessi che vengono in rilievo, non si pone in contrasto con l’art. 97 della Costituzione sotto il profilo del buon andamento.
A sua volta, la giurisprudenza ordinaria ha avuto modo di evidenziare che “La convivenza dei coniugi, unico requisito richiesto all’ art. 17 della L. n. 266/1999 ai fini del trasferimento del coniuge, non deve essere intesa in senso statico e formalistico, dovendosi riferire piuttosto alla continuità sostanziale del progetto e della vita familiare comuni, non rilevando affatto la diversità delle sedi di servizio dei coniugi. La ratio della norma risiede, infatti, nella tutela effettiva dell’unità familiare, da ritenersi quale vero e proprio diritto fondamentale della persona umana” (Corte Appello Milano, sez. lav., 21/10/2019, n.1558).
Ed ancora, la giurisprudenza amministrativa ha rimarcato che “La finalità dell’istituto del ricongiungimento del coniuge di militare trasferito, previsto dalla disposizione dell’art. 17, l. n. 266 del 1999 impugnata, è di tenere conto contemporaneamente di due diverse esigenze: da un lato, quella del buon andamento dell’amministrazione militare, la quale richiede un regime di più accentuata mobilità del rispettivo personale, per cui è previsto un trasferimento d’autorità; dall’altro lato, l’esigenza di tutela dell’unità familiare che, in mancanza di tale istituto, per il militare e la sua famiglia risulterebbe compromessa, proprio a causa del particolare regime di mobilità che ne connota lo status. Il ricongiungimento è, dunque, diretto a rendere effettivo il diritto all’unità della famiglia, che si esprime nella garanzia della convivenza del nucleo familiare e costituisce espressione di un diritto fondamentale della persona umana. Tale valore costituzionale può giustificare una parziale compressione delle esigenze di alcune Amministrazioni (nella specie, quella di volta in volta tenute a concedere il comando o il distacco di propri dipendenti per consentirne il ricongiungimento con il coniuge), purché nell’ambito di un ragionevole bilanciamento dei diversi valori contrapposti, operato dal legislatore” (T.A.R., Roma, sez. I, 05/11/2012, n. 9028, successivamente ribadita da T.A.R., Roma, sez. I, 2/10/2014, n. 10151). La giurisprudenza amministrativa ha inoltre chiarito che ai fini del ricongiungimento familiare non sia indispensabile un vincolo matrimoniale, essendo sufficiente la convivenza, dovendo interpretarsi la norma in conformità ai valori costituzionali di tutela della unità familiare, anche alla luce della giurisprudenza della CEDU. (T.A.R., Roma, sez. Seconda Ter, 27/09/2017, n. 9941).
Il Consiglio di Stato ha altresì puntualizzato che il dipendente coniuge di un appartenente alle forze armate trasferito d’ufficio ha un vero e proprio diritto soggettivo al ricongiungimento familiare (cfr. Cons. Stato Sezione VI, sent. 23/11/2004, n. 7686 [2], e Cons. Stato Sezione III, sent. 4/07/2011 n. 3992, e Cons. Stato Sezione VI, sent. 30/01/2020, n. 781).
Per la giurisprudenza amministrativa difatti, è compito dell’amministrazione di provenienza del dipendente, una volta ricevuta l’istanza di trasferimento per ricongiungimento al coniuge militare, o equiparato, trasferito d’autorità, accertare d’ufficio ed autonomamente se sussistano in altre sedi, condizioni tali da consentire la fruizione concreta del diritto sancito dall’art. 17 della L. 266/1999.
La giurisprudenza amministrativa, in sede consultiva, ha peraltro ritenuto che “il diritto vada inteso nel senso che la sua applicazione non prescinde da ogni correlazione con le esigenze di organizzazione della pubblica amministrazione, che ha un potere discrezionale di valutare, di anno in anno, le esigenze del servizio”, ai fini dell’adozione del provvedimento di trasferimento, di assegnazione provvisoria, o comunque di diversa utilizzazione nella stessa sede del coniuge comandato (Consiglio di Stato sezione II 282/89, in senso contrario Tar Emilia Romagna – Parma n. 147/92, e Tar Abruzzo n. 89/1992, che valorizzano la previsione del trasferimento per ricongiungimento anche in soprannumero).
È il dipendente, quindi, che attiva il procedimento presso l’amministrazione di provenienza, ma è quest’ultima che deve condurlo d’ufficio, in modo tale da realizzare, compatibilmente con le esigenze del servizio, l’interesse al ricongiungimento familiare canonizzato dalla legge.
La prevalenza della norma di rango primario sul vincolo triennale.
Il Tribunale di Bergamo infine, non ha ritenuto ostativo al riconoscimento del beneficio nemmeno il vincolo triennale, previsto per i dirigenti di nuova nomina.
La natura di norma imperativa della disposizione di cui all’art.17 della legge n. 266/99 è evincibile dalla ratio legis della stessa, per come evidenziata anche dalla Corte Costituzionale nelle citate sentenze.
Detta norma si configura infatti quale disposizione di una lex specialis rispetto alle norme di carattere generale con esse eventualmente contrastanti, a maggior ragione laddove il bando del concorso per dirigente scolastico non si pone neppure in aperto contrasto con esse, ma semplicemente non indica tra le deroghe all’obbligo di permanenza la sussistenza di una situazione espressamente prevista dalla legge, qual è il diritto al ricongiungimento al coniuge militare trasferito d’ufficio, previsto in via generale (ed inderogabile) da una norma di legge superiore.
Il rilievo, anche costituzionale, come evidenziato dagli interventi della Consulta in subjecta materia, dei diritti tutelati dalla norma, rende palmare come quest’ultima costituisca norma imperativa, la cui violazione da parte di disposizioni di rango inferiore (come il bando di concorso) comporta la nullità di queste ultime e la loro conseguente disapplicazione da parte del Giudice ordinario.
Sulla deroga al vincolo triennale previsto dal bando di concorso, si erano già espressi il Tribunale di Cuneo (ordinanza 7.08.2020), il Tribunale di Verbania (ordinanza 17.09.2020) e il Tribunale di Ivrea (ordinanza 16.10.2020), che hanno evidenziato come la norma sub primaria, qual è il bando di concorso, deve necessariamente recedere rispetto a previsioni di rango legislativo di contrario tenore, a maggior ragione laddove queste ultima siano poste a tutela di diritti costituzionalmente tutelati e, quindi, aventi natura imperativa.
Avv. Nicola Zampieri – foro di Vicenza
immagine tratta da laltrametadelladivisa.it
[1] “Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 17 l. 28 luglio 1999 n. 266, censurato, in riferimento all’art. 97 Cost., nella parte in cui prevede il diritto, senza limite alcuno, del coniuge convivente del personale delle forze armate e di polizia, trasferito d’autorità da una ad altra sede di servizio, che sia impiegato in una amministrazione pubblica, ad essere impiegato, per comando o distacco, presso altre amministrazioni nella sede di servizio del coniuge o, in mancanza, nella sede più vicina. Premesso che l’istituto del ricongiungimento del coniuge di militare trasferito, previsto dalla disposizione impugnata, tiene conto contemporaneamente sia dell’esigenza del buon andamento dell’amministrazione militare, la quale richiede un regime di più accentuata mobilità del rispettivo personale, per cui è previsto un «trasferimento d’autorità», sia di quella della tutela dell’unità familiare che risulterebbe altrimenti compromessa proprio a causa del particolare regime di mobilità che ne connota lo status, la scelta del legislatore, costituisce un bilanciamento non irragionevole delle esigenze e degli interessi che vengono in rilievo (sentt. nn. 28 del 1995 e 113 del 1998)” – Corte Costituzionale, 30/05/2008, n.183.
[2] La sentenza ha inoltre precisato che debba considerarsi “convivente” anche il coniuge avente residenza in città diversa rispetto al militare all’atto del trasferimento d’ufficio, ricorrendo ad interpretazione costituzionalmente adeguata, intesa a tutelare il valore dell’unità della famiglia.